Capitolo 27 - i documenti segreti

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Sotterranei segreti di monte Ursino
12 agosto 1995
Ore 01,40

«Giovanni!!» Francesca non riusciva a trattenere la gioia.
Saltò al collo del custode che quasi cadde sotto al suo slancio di giubilo, tenendo ancora stretta la pistola nella mano tremante.
«Il mio dovere è proteggervi, mia signora!» fece una pausa, puntando lo sguardo in quello di Massimo. «È proteggere lei, illustre pittore, ed è proteggere la Quinta repubblica!»
Allontanò leggermente Francesca dal suo corpo, concedendosi il lusso di lasciar vagare gli occhi sul tesoro immenso che gli si parava davanti, illuminato dal chiarore del fuoco.
«Questo segreto morirà con me. Vi chiedo di perdonarmi, mia signora, solo voi e il pittore dovreste conoscere la meraviglia che si nasconde sotto Noli. Noi custodi ne conosciamo l'esistenza, ma non sappiamo trovare l'ingresso della camera segreta. O almeno, fino ad adesso.» si tolse il cappello in segno di rispetto. «Ma vi giuro, mia signora, che porterò nella tomba il ricordo di ciò che mai avrei dovuto vedere!»
«Giovanni, ne sono convinta! Non mi deve alcuna spiegazione... Ci ha appeno salvato la vita!»
Lo vide sorridere, in un contrasto così assurdo con la pistola fumante che teneva ancora stretta nella mano.
«Adesso vi saluto, mia signora. Porgo i miei rispetti anche a lei, stimato pittore, e vi aspetto fuori, così che possiate arrivare da soli, là dove dovete andare, a scoprire quello che dovete scoprire.» disse inchinandosi e incamminandosi su dalle scale, lasciandole un saluto timido con la mano.
«Non temete, miei signori. Io veglierò su di voi. E questa volta con la pistola di quello stupido tedesco stretta in mano!» affermò risoluto, facendo un cenno con il cappello prima di sparire nell'oscurità della doppia parete.
Francesca guardò Massimo che sorrideva dolcemente a quell'uomo assurdo, dotato di un educazione antica e di una passione senza pari per la storia che custodiva da sempre.
«Allora, professore, che facciamo? Andiamo a vedere per cosa abbiamo rischiato la pelle?»
Massimo annuì.
«Andiamo! Superiamo questa paccottiglia dal valore inestimabile e cerchiamo quei documenti. Vediamo cosa nasconde Noli che ancora non conosco!» disse ridendo.
Si infilarono, una stanza dopo l'altra, dentro quello che sembrava un dedalo immenso di cantine gigantesche, piene dalla terra al soffitto, degli oggetti preziosi più disparati. Come aveva detto Massimo, lì dentro ci sarebbe stato da studiare per una vita intera, e non sarebbe bastata.
Ogni tanto lo vedeva arrestarsi di colpo, mormorare qualcosa a bassa voce e passarsi le mani tra i capelli con lo sguardo colmo di meraviglia. Talvolta le sfiorava la mano per indicarle qualcosa nel mucchio di oggetti accatastati l'uno sull'altro. Poi riprendevano il cammino.
Quando giunsero ad una stanza più piccola delle altre, da cui si accedeva scendendo alcuni gradini, Francesca notò un muro di mattoni di pietra che sembrava porre fine al percorso che si snodava sotto le fondamenta della città. Nel muro c'era una porta, piccola, di legno borchiato. Poteva essere vecchia quanto il sotterraneo stesso.
«Ci siamo!» esclamò Massimo accelerando il passo.
Quando furono davanti alla piccola entrata affogata nel mare di pietre, Francesca inspirò profondamente. Poi sorrise.
«Cosa aspetti, Massimo. Aprila!»
Lui si voltò, le inondò il volto con uno di quegli sguardi pieni di conoscenza, fascino e storie vecchie come il mondo. La guardò e tutto intorno a lei divenne sfocato. La guardò e a lei parve che quello sguardo, da solo, bastasse. Che tutto il resto fosse superfluo. La storia, la Quinta repubblica, le navi da guerra invincibili, il passato glorioso, le torri che accarezzavano le nuvole, la dama, il pittore, il custode, il segreto. Che ci fosse solo lui, con lei in piedi davanti, a guardargli gli occhi e a dissetarsi delle sue iridi piene di storie da raccontare.
Poi Massimo sorrise. Fece un cenno del capo per farsi coraggio, strinse la maniglia e aprì la porta.
La luce della grande sala da cui venivano prese a pugni l'oscurità della piccola stanza, scivolò sul pavimento e si infranse sulle pareti laterali, per poi colpire quella sul fondo, mozzandole il respiro.
E Francesca capì che Noli aveva combattuto per qualcosa di grande. Qualcosa che le parole non avrebbero potuto descrivere, e a cui il ricordo non avrebbe mai reso giustizia.
Monna Francesca la osservava dalla parete di fronte. La osservava con il suo stesso sorriso, con le sue stesse guance tinte di rosa pallido, con i suoi stessi ricci castani a ricaderle sulla fronte. Ma, soprattutto, la osservava con i suoi stessi occhi liquidi, di un azzurro tanto accecante da rendere pallido tutto il resto. I medaglioni, le monete, le pietre preziose, i gioielli, i dipinti dei grandi maestri andati persi nel tempo. Tutto, sembrava sbiadire davanti allo sguardo di quel dipinto, fatto di acqua di mare.
Con la coda dell'occhio vide Massimo cadere sulle ginocchia al suo fianco, portarsi le mani al viso... E piangere.
«Sei qui, mia signora!» sussurrò mentre se ne stava accasciato su un pavimento umido, con lo sguardo incollato ad un dipinto che aveva superato indenne quasi mille anni di storia, senza perdere nemmeno una briciola del fascino indescrivibile che aveva fatto nascere una leggenda sopravvissuta alle guerre, alle carestie, alla globalizzazione, alla tecnologia, all'aridità di pensiero e alla perdita della ragione.
Il mondo era cambiato, mentre lei, nascosta nelle viscere della terra, era rimasta la stessa.
Francesca si chinò vicino a lui, gli si inginocchiò al fianco e, in silenzio, guardò il ritratto del sangue del suo sangue, osservarla nella sua immobilità eterna.
Restarono fermi così, a spiarla sorridere dalla tela, per un tempo che a Francesca parve infinito.
Il fuoco bruciava nella stanza che si erano appena lasciati alle spalle, illuminando il piccolo anfratto, nascosto al fondo di un cunicolo celato al mondo.
Quando Francesca riuscì a spostare lo sguardo dai suoi stessi occhi, notò un baule che riposava proprio sotto le pieghe di un abito color porpora, immortalato sulla tela da un pittore folle che inconsapevolmente aveva dato il via a qualcosa di incredibile.
«Massimo, guarda! Quelli devono essere i documenti!» disse accarezzandogli dolcemente la mano.
Vide il professore riscuotersi, provare a liberare lo sguardo da quei due occhi leggendari e creduti scomparsi per sempre.
Lo vide alzarsi, prenderle la mano, e dirigersi verso un mistero che, adesso, gli si dispiegava davanti senza più ostacoli.
Sfiorò con le dita il legno vecchio e scheggiato in più punti, lo percorse con i polpastrelli, lasciandosi conquistare dai suoi misteri sopiti.
Poi si chino davanti alla serratura di ferro arrugginito, la fece scattare con facilità.
Francesca tirò un sospiro di sollievo. Per un attimo si era figurata una nuova caccia al tesoro da dover affrontare per poter espugnare il baule. E invece niente. La cassa si sottomise al suo tocco leggero, rivelando un interno stracolmo di carte, incisioni, disegni, antichi sigilli, documenti e atti.
Massimo si passo nervosamente una mano tra i capelli. Poi la abbracciò, cingendole piano le spalle.
«Guarda, Francesca. Eccoti la vera storia del tuo popolo!» le sussurrò all'orecchio, prima di chinarsi sulla pergamena, posta proprio sopra al mucchio di carte, che riportava una scritta in rosso scarlatto.

Al pittore e alla sua dama
Perché possano difendere il passato di Naboli la grande, finché il tempo non giungerà, e il mondo sarà pronto a sentire la sua storia.

Massimo prese la vecchia carta tra le mani, la rigirò piano tra le dita.
«Sembrano istruzioni per noi...» le disse sorridendo prima di srotolarla lentamente e cominciare a conoscere il segreto contenuto nelle pieghe del tempo.

Naboli, Anno Domini 1356
Che ai posteri possa giungere ciò che gli occhi miei scorgono.
Settantadue torri svettano verso il cielo. Immobili nel loro potere eterno.
Uomini e donne danzano, bevendo vino in caraffe d'oro screziate di pietre d'Oriente.
Navi invincibili riposano sulla banchina, battendo bandiera della Quinta repubblica, regina indiscussa di terra e di mare. Attendono una nuova battaglia da vincere, un nuovo viaggio da affrontare, sull'acqua placida di un porto che non conosce contendenti in città alcuna.
Le sue campane risuonano al di là delle montagne, facendo vibrare le nuvole.
I suoi mercanti vagano per i carruggi, avvolti in stole di seta di Bisanzio, capaci di vendere o comprare financo l'anima degli uomini.
Nelle sue strade, squilli di tromba allietano le ore, scandendo la vita ed il tempo.
Non vi sono fame, morte o pestilenze.
Naboli la grande, la chiamano i popoli.
Le potenze del mondo reclinano la testa con rispetto di fronte al suo stendardo rosso, solcato dalla croce bianca.
Imperatori d'Oriente cantano le sue gesta, sussurrando con timore il suo nome.
I re si sfilano la corona, inginocchiandosi davanti alla magnificenza delle sue mura, che sfidano il potere di Dio stesso.
La Quinta repubblica risplende di luce accecante, e mai altra città al mondo potrà eguagliare la sua gloria.

Francesca osservò Massimo asciugarsi frettolosamente una lacrima dalla guancia.
Poi girò il rotolo di pergamena e puntò lo sguardo nel baule.
«Ci sono altri scritti!» disse guardandola negli occhi.
Francesca gli sorrise.
«Sono lettere! Lettere dei pittori e delle Monna Francesca dei vari secoli!» sussurrò Massimo.
«Comincia a leggere ciò che ti hanno lasciato scritto i tuoi avi, io leggerò cosa mi hanno lasciato scritto le mie!» disse, prima di dargli un bacio sul limitare tra la guancia e le labbra.
Lui respirò a fondo, e lasciò che i suoi occhi scorressero su una nuova pergamena vecchia di secoli.

Mio amato figlio, sangue del mio stesso sangue, proseguimento della mia esistenza e imperitura memoria del mio passaggio nel mondo. Scrivo a te, sperando che ciò che ho difeso ed amato per tutta la vita, possa esserti consegnato dalla storia, così come è stato consegnato a me dal padre di mio padre.
Ti abbiamo lasciato lo scritto del poeta sconosciuto, così che tu possa scorgere, nella tua mente, la grandezza di una città senza eguali nella storia.
In questo baule sono celate le tracce di un tempo glorioso che sta per volgere al termine.
La nostra ora è giunta.
Tienilo nascosto, assicura la sua sopravvivenza finché non arriverà il giorno di rivelare al mondo il nostro passato.
Se il tuo tempo sarà il custode di quel giorno, il segno ti sarà chiaro.
Forse toccherà a te, forse al figlio di tuo figlio.
Non so dirlo.
Ma quando il pittore riuscirà nuovamente ad imprimere sulla tela gli occhi della sua dama, allora, e solo allora, il mondo sarà pronto a conoscere lo splendore di Naboli la grande.
Se sarai tu il prescelto, figlio mio, fa in modo che ogni popolo, di ogni angolo della terra, conosca la storia che ha fatto di un piccolo insediamento di pescatori, la repubblica marinara più potente del mondo.
Fa in modo che il mondo si inchini ancora una volta davanti allo stemma della Quinta repubblica.
Ma tieni celato il tesoro.
La vita mi ha insegnato che gli uomini non saranno mai pronti a sopportare la ricchezza.
Tramanda la conoscenza al figlio di tuo figlio, così come io l'ho tramandata al mio.
Fai sopravvivere la leggenda, tienila viva nella mente e nel cuore, così che possa proseguire nei secoli, fino alla fine del mondo.
Dio benedica la dama, benedica il pittore,  benedica la Quinta repubblica.
Bartolomeo del Bottari

Massimo la guardò.
Aveva gli occhi pieni di lacrime e le mani tremanti.
Prese una nuova lettera, mentre lei afferrava una pergamena solcata dalla scrittura elegante di una dama di molto tempo prima.
Lessero, lessero, e lessero ancora, mentre la storia e le storie si prendevano a gomitate lo spazio presente sospeso in uno scantinato umido.

La donna a cui nessuno riuscì a dipingere gli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora