Capitolo 10 - la parete della torre

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Noli
10 agosto 1995
Ore 10,50

L'odore di muffa gli invase le narici, non appena varcata la soglia del piccolo appartamento buio e fatiscente.
Si erano allontanati da casa sua subito dopo la rivelazione di Francesca.
Francesca lo sa, proprio come suo nonno gli aveva lasciato scritto nella lettera.
Non sapeva cosa esattamente sapesse, ma era chiaro che quella donna poteva condurlo da qualche parte.
Avevano percorso i vicoli di Noli, saturi dei profumi e dei rumori del mattino, facendo attenzione a non essere seguiti.
L'eccitazione per la scoperta non era riuscita a toglierle la paura dagli occhi, né tanto meno l'inquietudine dal cuore.
Massimo lo vedeva chiaramente.
Sulla lettera di suo nonno era scritto che altri stavano cercando ciò che cercavano loro.
Ma se aveva trovato Francesca, allora adesso, cosa stava cercando esattamente?
Lui aveva sempre creduto che la lettera lasciata dal pittore precedente gli sarebbe servita per giungere alla dama di Noli. Ma se era la dama di Noli che doveva aiutarlo a cercare, allora cosa cercava?
Massimo non lo sapeva.
Cominciava a non capire più niente.
Tutto gli sembrava assurdo. Ancora più assurdo di una donna uguale che ogni cinquanta anni si presentava alle porte della città.
Seguì Francesca che si dirigeva a passo svelto verso una seconda stanza, e lì cominciò letteralmente a boccheggiare.
Un muro di pietra del Sino faceva da quinta alla grande stanza.
Era identica in tutto e per tutto al basamento della torre del Canto, visibile dall'angolo tra via Sartorio e via Cristoforo Colombo.
Nella torre del Canto troverai le indicazioni per proseguire la ricerca.
Massimo aveva cercato per anni dentro quella maledetta torre, ma lo aveva fatto dal lato sbagliato.
Il muro confinava con la casa di Francesca, quel muro uguale in tutto e per tutto al disegno che suo nonno gli aveva lasciato.
«Così questa è casa tua?» disse, più per interrompere il silenzio che per effettiva curiosità.
Ovviamente lo era, di chi altro avrebbe dovuto essere?
«In realtà è casa mia solo da una settimana, mia nonna me l'ha lasciata nel testamento.
Nessuno era a conoscenza della sua esistenza, lei non ne aveva mai parlato.»
Vide Francesca portarsi una mano alla fronte, massaggiarsi leggermente la pelle nascosta dai capelli bruni con le dita.
«Non ci voleva mai venire, a Noli. Quando ero piccola arrivavamo al confine di Spotorno e poi, con una scusa qualsiasi, voleva sempre tornare indietro, andavamo ovunque, ma non qui. Perché non mi ha mai detto della leggenda? Se tuo nonno l'aveva ritratta, allora lei conosceva la storia. Perché non ha voluto raccontarmela. Io ero adulta, potevo capire.»
Massimo le si avvicinò piano, le appoggiò una mano sulla spalla, in un gesto dettato da un istinto che non riuscì a sopire in tempo.
«Non lo so Francesca, ma se c'è qualcosa da scoprire, è in questa casa.
Mio nonno l'ha disegnata e tua nonna te l'ha lasciata in eredità. Forse voleva che tu sapessi, ma non ha mai trovato il coraggio di raccontartelo.»
La vide asciugarsi frettolosamente un principio di lacrima che le aveva fatto capolino agli angoli degli occhi.
Si ritrasse immediatamente.
Non era abituato al contatto umano.
L'unica persona che si ostinava a girare intorno alla sua solitudine, a parte sua moglie che conosceva il suo carattere schivo e che aveva imparato a detestarlo con noncuranza, era un barista bestemmiatore di professione, circondato da ubriachi e appassionato di misteri.
I suoi studenti lo facevano sentire un normale essere umano, ogni tanto, ma poi tornava nella sua Noli, continuava ad inseguire la sua storia, e si isolava dal resto del mondo, ogni anno un po' di più.
Probabilmente Francesca era la prima persona con cui aveva parlato per più di venti minuti senza essere interrotto da un rutto e senza un boccale di birra pessima tra le mani.
E questo lo faceva sentire stranamente felice.
Mentre le raccontava la leggenda di Noli era pronto a vederla scappare, da un minuto all'alto.
E invece niente, lei era rimasta.
E non solo era rimasta, lo aveva seguito, era entrata nel suo mondo fatto di vecchie carte, di indizi assurdi, di lettere e di donne alle quali era impossibile dipingere gli occhi.
Aveva ascoltato le sue spiegazioni non richieste, e forse le aveva anche apprezzate davvero.
Sì, in mezzo ad una nuova caccia, ad un nuovo mistero da risolvere, all'eccitazione della scoperta, al suo personalissimo medioevo che continuava a ronzargli intorno, per la prima volta dopo tanti anni, Massimo si sentiva felice.
Si avvicinò alla parete, lasciando che il palmo della mano carezzasse le pietre umide e sature di muffa.
Un lato sconosciuto della torre del Canto vibrava sotto le sue dita.
Lo studiò con lo sguardo, cercando di cogliere un qualsiasi simbolo o incisione che potesse richiamare qualcosa alla sua mente.
«Deve essere qui, da qualche parte!» sussurrò più a se stesso che a Francesca, che ormai gli stava in piedi accanto.
«Massimo, e se fosse nella nicchia? Io non sono un'esperta di architetture medioevali, ma è curioso che qualcuno abbia scavato delle pareti che avevano la funzione di sostegno, oltretutto così in basso. Se fosse stata una vecchia feritoia murata sarebbe stata più in alto.
Secondo me è stata creata in tempi più recenti.»
Massimo si girò a guardarla.
I lunghi capelli castani erano intrappolati in una coda fatta di fretta, lasciando scappare alcuni ciuffi che le ricadevano selvaggi sulla fronte, incorniciandole due occhi che al sole erano fatti di acqua, e alla penombra sembravano rubare il colore di ciò che le stava intorno.
«Hai ragione, questa nicchia è recente.» disse, alzandosi sulle punte e passando le mani sui bordi esterni.
Si sporse ancora, cercando di arrivare più in alto.
I suoi polpastrelli lambirono la parte bassa del piccolo alloggiamento creato nella parete.
«Qui c'è qualcosa!» urlò in preda all'eccitazione che gli invadeva la bocca.
«Prendi una sedia, vedrai meglio se sali più in alto!» gli consigliò Francesca, vittima anche lei di una curiosità che si era fatta insostenibile, e passandogli un residuato degli anni '60 che se ne stava placidamente nascosto sotto un tavolo di formica.
Massimo salì sulla seduta, mettendo a dura prova la resistenza delle gambe sottili tipiche del modernariato.
Si issò sulle punte e passò la mano dove poco prima aveva intuito con la punta delle dita quella che gli era sembrata una crepa.
«C'è un buco, coperto da un mattone smosso... Se solo potessi salire più alto!»
Francesca non se lo fece ripetere due volte, in un attimo Massimo sentì un rumore stridulò che sembrò rimbombare all'interno della stanza e, abbassando gli occhi, vide il tavolo della cucina che si era magicamente materializzato accanto alla sedia.
«Usa questo!»
Si lascio scappare un sorriso. L'entusiasmo di quella donna sapeva essere disarmante persino per lui.
Poi fece un piccolo sforzo e salì sul tavolo.
Fu allora che ebbe la conferma dei suoi sospetti.
Effettivamente la pietra era stata tagliata, ricreando un mattone più piccolo che era stato riposizionato nel suo alloggiamento, come a nascondere uno spazio sottostante.
«Passami qualcosa con cui alzare il mattone. Un coltello, una chiave... qualcosa!»
Un secondo più tardi Francesca gli porgeva uno spilucchino dal manico di plastica verde, tipico anch'esso degli anni '60.
A dirla tutta, effettivamente, sembrava che a parte lui e Francesca, tutto di quella casa si fosse fermato agli anni '60.
Afferrò l'arma che profumava di muffa e di speranza, la passò con attenzione nella fessura in cui avrebbe dovuto esserci la malta.
Fece leva, cercando di fare attenzione a non rompere la lama.
Improvvisamente il mattone si mosse.
Riusciva a vedere lo sbalzo che produceva, leggermente in rilievo rispetto alla base della nicchia.
Diede ancora un colpo, il mattone sussultò creando una sporgenza maggiore.
Massimo lo afferrò con le dita, facendo uno sforzo sovrumano per sollevarlo.
Quando finalmente lo estrasse dal suo alloggiamento, per un momento gli parve di non riuscire a respirare.
Si voltò verso Francesca che aveva gli occhi pieni della sua stessa impazienza.
«Cosa c'è là dentro?» chiese, battendo le mani come una bambina di fronte ai regali di Natale.
Massimo abbandonò i suoi occhi a fatica, li puntò nella nicchia scura, nello spazio che fino a poco prima era stato occupato dal piccolo mattone.
«C'è... sembra un cofanetto. Non capisco. Aspetta che lo tiro fuori.»
Sentiva le mani tremare.
Era finalmente al cospetto del segreto che aveva accompagnato tutta la sua vita. Ce lo aveva fra le mani.
Con un salto balzò giù dal tavolo, tutto quello che i suoi quasi cinquant'anni potevano ancora permettergli.
Afferrò la sedia che poco prima gli aveva fatto da trespolo, mentre osservava Francesca fare lo stesso con quella che era scampata alla loro foga di arrampicatori.
Si sedettero al tavolo, guardandosi ancora una volta negli occhi.
«Allora? Non lo apri?» chiese Francesca eccitata.
«Credo che sia tu a doverlo aprire. In fondo, questa è casa tua.»
Le passò il piccolo scrigno di legno.
Sembrava un portagioie antico, intarsiato con un motivo a fiori ottenuto con un scalpello volutamente non troppo fine. Era uguale a quello dei disegni di suo nonno.
Francesca lo prese, rigirandoselo un istante tra le dita.
«D'accordo, lo faccio io!»
Massimo vide un sorriso apparirle sulle labbra.
Poi osservò le sue mani sottili, adornate da un anello di argento composto da due fili intrecciati.
La guardò sollevare il coperchio, mentre il respiro le si faceva più rado secondo dopo secondo.
Improvvisamente estrasse due lettere.
Su una c'era scritto semplicemente Francesca, mentre sull'altra, in un angolo, solo Massimo.
Si guardarono nuovamente per un istante.
«Direi che ci sono notizie per entrambi!» gli disse infine.
«Ok, prima tu!»
Francesca dispiegò lentamente il foglio di carta, prima di cominciare a leggere con voce tremante le parole che il tempo le aveva consegnato tra le mani.

La donna a cui nessuno riuscì a dipingere gli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora