Eremo del capitano D'Albertis
11 agosto 1995
Ore 13,00La luce del sole di metà giornata filtrava dalle persiane, andando a depositarsi sulle assi di legno scheggiate e creando un disegno geometrico sul pavimento.
La stanza era grande, proprio come aveva detto Giovanni, così come lo era il letto dalle lenzuola bianchissime posto proprio sotto alle due finestre affacciate sulla scogliera.
Massimo si fece scappare un sorriso, quando vide due pile di vestiti puliti impilati sul divano che di lì a poco avrebbe accolto il suo riposo.
Il custode si era premurato di fargli trovare una camicia pulita e un paio di pantaloni. Quell'uomo era pieno di sorprese!
Accanto ai suoi abiti ben piegati c'erano quelli di Francesca. Una maglietta bianca e un paio di jeans, dal sapore forse un po' datato, emanavano il forte profumo di un detersivo alla lavanda.
«Non posso crederci! Vestiti puliti! Se in questa casa ci fosse anche una doccia potrei tranquillamente affermare di essere la donna più felice del mondo!» disse Francesca sparendo al di là della porta da cui erano appena entrati.
Massimo sentì la sua euforia scendere giù per le scale. Avvertì una frettolosa conversazione con Giovanni al piano di sotto, prima di udire nuovamente i suoi passi che percorrevano a ritroso gli scalini, intervallando ogni scricchiolio del legno con il battito frenetico delle sue mani, in quel gesto che aveva imparato a riconoscere come manifestazione di giubilo.
La casa aveva una doccia, a quel punto non c'erano più dubbi.
Dispiegò i pantaloni che si rivelarono un po' più grandi del dovuto e di un improbabile color crema.
Erano brutti, ma puliti. Era più di quanto avesse osato sperare.
Quando pochi minuti più tardi Francesca rientrò nella stanza coperta solo da un grande asciugamano e con i capelli bruni bagnati, appiccicati ai lati del viso, Massimo pensò di non avere mai visto niente di più bello in vita sua.
Si costrinse a scappare verso il bagno, ad infilarsi in una doccia gelata, sperando che l'acqua potesse scacciargli di dosso quel dannato sentimento che si ostinava a risalirgli la gola, a infilarglisi in bocca e a fargli tremare le mani.
Per un attimo si chiese come diavolo avessero fatto suo nonno e il nonno di suo nonno prima di lui, a non innamorarsi perdutamente della loro Francesca. Dei suoi occhi fatti di acqua di mare, dei suoi lineamenti sottili.
E poi capì che forse tutta quella bellezza indescrivibile non c'entrava proprio niente.
Erano le sue battute attente, il suo modo di ridere, la mania che aveva di battere le mani quando si sentiva felice, la sua curiosità, la sua attenzione. Era il modo in cui lo guardava quando lui lasciava uscire la sua conoscenza della storia, ed era anche il modo in cui lo prendeva in giro per lo stesso motivo.
No, non era la sua bellezza. Era il suo modo di essere Monna Francesca ad avergli fatto perdere la ragione.
E quello non sarebbe dovuto succedere.
Quando rientrò nella grande stanza a strapiombo sulla scogliera, lei era affacciata alla finestra.
Aveva addosso i vestiti puliti che le stavano un po' troppo grandi e si sporgeva oltre gli infissi, cercando qualcosa tra le foglie.
«Massimo, guarda! Di qui si vede il mare in mezzo agli alberi!»
La sua euforia era di una tenerezza disarmante.
Le si avvicinò piano. Poggiò le mani sul davanzale e lasciò che il suo sguardo vagasse per qualche secondo tra i puntini azzurri che rivelavano l'acqua in lontananza.
Improvvisamente lei gli sfiorò le dita, prima di stringerle leggermente.
«Sono così stanca da non riuscire a tenermi in piedi, e contemporaneamente non vedo l'ora di potermi svegliare per proseguire il percorso! Sai Massimo, non avrei mai creduto che una cosa come questa potesse succedere proprio a me!»
Lui sorrise verso le foglie.
«E io non avrei mai creduto che la follia di mio nonno potesse essere vera fino a questo punto.»
Francesca lo guardò negli occhi, sorrise anche lei, poi si girò di scatto e si lanciò sul letto con un salto, nel modo in cui lo avrebbe fatto una bambina.
La vide prendere il cuscino, assestargli due pugni per conferirgli la forma che doveva sembrarle più congeniale, poi sdraiarsi su un fianco e chiudere gli occhi facendo un sospiro.
Massimo accostò la persiana che lei poco prima aveva aperto. La stanza piombò improvvisamente nella penombra.
Raggiunse il divano, ci si abbandonò sopra con poca grazia. Effettivamente la definizione che ne aveva dato Giovanni non poteva essere più appropriata. Era bitorzoluto e sfondato, ma in quel momento gli sembrava un materasso di piume, tanto era stanco.
«Non vorrai davvero dormire su quel divano?» la voce di Francesca scivolò nella stanza. «Vieni qui, il letto è grande... E direi che dopo la scorsa notte possiamo tranquillamente affermare di aver già dormito insieme, quindi non vedo perché tu debba costringerti a riposare scomodo. Guarda che non hai mica più vent'anni, professore! Queste cose si pagano!» disse ridendo e battendo la mano aperta sul materasso al suo fianco.
Massimo si era sempre definito un uomo capace di pensare, di mettere la ragione davanti al cuore. Aveva sempre amato quell'aspetto del suo carattere. Aveva sempre fatto un vanto del fatto di saper razionalizzare ogni situazione, di analizzare la vita in ogni suo aspetto, di pianificare, calcolare, ragionare sulle cose.
E in quel momento si rese conto che invece non era in grado di pianificare, di calcolare né di ragionare su alcunché. Ma soprattutto si rese conto, per la prima volta in vita sua, dell'esistenza di un cuore che se ne fotteva della ragione. Un cuore che in quel momento batteva tanto forte da fargli dolere le costole.
Per un attimo provò a costruire una frase che gli permettesse di rimanerle distante, provò a trovare la forza di farsela salire su dalla gola e di palesarla nella penombra.
Poi sentì le gambe muoversi, si vide impotente mentre si alzava dal divano, mentre faceva due passi sulle assi di legno che scricchiolavano sotto ai suoi piedi, e poi mentre si sdraiava sul materasso al suo fianco, riempiendosi il respiro del profumo dei suoi capelli abbandonati sul cuscino.
Francesca si mosse. Gli si avvicinò piano dandogli la schiena. Il calore del suo corpo gli lambì il petto.
«Abbracciami ancora, Massimo!»
Chiuse gli occhi. Era stato pronto a tutto, per tutta la sua vita. Era stato pronto ad una leggenda incredibile che gli aveva risucchiato praticamente tutta l'esistenza, era stato pronto a studiare per notti infinite su libri che in pochi altri avrebbero capito, era stato pronto a conquistare una delle cattedre più prestigiose d'Italia, era stato pronto a seguire il cammino che non sapeva bene quale forza superiore aveva tracciato per lui.
Ma non era pronto a lei.
Non era pronto alla sua freschezza, alle sue risate, al profumo dei suoi capelli.
Le fece scivolare un braccio intorno alla vita, in un'impotenza che non gli era mai sembrata tanto dolce.
La strinse, accostando il viso all'incavo del suo collo.
Francesca si voltò, gli puntò negli occhi quelle stramaledette iridi fatte di acqua di mare. E lui smise di pensare. Smise di ricordare. Smise di essere il professore affogato nella storia e inseguito da una leggenda. Smise di essere un marito. Smise di essere tutto quello che aveva sempre creduto di essere, e diventò solo Massimo, impotente di fronte alla donna che era certo di amare.
Le baciò la fronte. Lei chiuse le palpebre.
Rimasero immobili per un istante, poi Francesca sollevò leggermente il viso, gli baciò il mento. Lui le baciò il naso, lei la guancia. Lui le baciò gli occhi, lei il naso. Lui le baciò il mento, lui la fronte. Si rincorsero piano, con le labbra che quasi tremavano, a cavallo tra l'emozione e la paura. Lui le baciò la mandibola, lei lo zigomo, lui le baciò la guancia, lei tornò a baciargli il mento. E poi si baciarono insieme, lì dove avrebbero voluto baciarsi ormai da ore. La bocca di lei si dischiuse piano, lasciandogli assaporare i segreti del suo respiro.
Le labbra morbide e calde vibrarono insieme alle sue. Lui la strinse, con tutta la forza che ancora aveva in corpo.
La vide chiudere le palpebre, allontanarsi piano dalla sua bocca, accoccolarsi sul suo petto. Sentì il suo respiro farsi profondo mentre scivolava nel sonno, protetta dalle sue braccia.
Chiuse gli occhi, Massimo, affondando la faccia nei suoi capelli e dissetandosi del suo odore.
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La donna a cui nessuno riuscì a dipingere gli occhi
Adventure⭐️ WATTYS WINNER ⭐️ Miglior Incipit ⭐️ Quello che sto per raccontarvi, in parte è solo leggenda. Una di quelle leggende segrete, che serpeggia nei vicoli della città vecchia, custodita dagli anziani, canzonata dai giovani, sussurrata dai bambini. È...