Capitolo 12 - il sentiero del pellegrino

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Noli
10 agosto 1995
Ore 12,55

Massimo conosceva quei vicoli meglio di chiunque altro al mondo.
Lì aveva vissuti dapprima, poi li aveva amati e infine li aveva studiati, in tutte le infinite notti di veglia in cui aveva cercato di dissipare il mistero della sua vita.
San Paragorio era posta a ponente, e un tempo, quelli che ormai erano mille anni prima, era affacciata direttamente sul mare.
Sorgeva su un'antica area cimiteriale che, grazie agli scavi recenti, aveva restituito al mondo importanti tracce romane e medioevali.
Si presentava come un'elegante struttura di pietra, con accesso dal lato nord e con la curiosa particolarità di una facciata cieca, e le absidi rivolte verso il mare. L'edificio a tre navate contava, appunto, tre absidi ben distinte e si innalzava sui resti di un vecchio edificio battesimale del V secolo e probabilmente di un'antica costruzione votiva di epoca longobardo-carolingia.
L'elegante architettura visibile era di piena età medioevale e si portava dietro tutta la grazia e la magnificenza del grande passato di Noli.
L'abbandono dovuto al trasferimento della sede cattedralizia nella più centrale San Pietro, avvenuta nel 1500, e il successivo terremoto del 1887, avevano lasciato poco scampo alla vecchia chiesa.
Ma alla fine del 1800 qualcuno si era accorto della meraviglia che sonnecchiava tra le mura della città e aveva preso le redini di un restauro durato molti anni.
L'archeologo e architetto portoghese Alfredo D'Andrade si era tirato su le maniche e aveva ridato a San Paragorio la dignità che meritava, con i suoi rifacimenti sempre molto rispettosi dell'anima stessa della vecchia cattedrale.
Le murature all'esterno presentavano la tipica decorazione ad archetti pensili, classica del periodo pretoromanico, che scandivano ritmicamente la parte superiore delle pareti.
All'interno la particolarità delle sue colonne, tutte di forma diversa, testimoniava ancora una volta la maestosa semplicità dell'architettura romanica. Interno nel quale antichi affreschi quattrocenteschi erano ben visibili nelle nicchie alte che scandivano le pareti dell'abside.
Una porzione di capriata lignea splendidamente decorata, risalente al primo secolo dell'anno mille, era perfettamente conservata al suo interno, sostituita in gran parte da un rifacimento ottocentesco del D'Andrade, per garantire solidità alla chiesa che altrimenti sarebbe caduta a pezzi.
Sotto la grande abside, una scala originale del IX secolo, conduceva ad una cripta composta da una doppia sala, sostenuta da colonnine di età romana. Forse due antichi ambienti separati che potevano essere stati sacelli martiriali. Una preesistenza ingombrante, che aveva condizionato la planimetria definitiva dell'intero edificio, risalente circa al 1100 d.c.
Del 1200 d.c., invece, era il crocifisso ligneo, che la storia voleva fosse giunto dal mare e che in effetti tradiva fatture di origine orientale, con un caratteristico lungo camice colorato.
Un gioiello nascosto agli occhi del mondo che non sapeva guardare, insomma.
Un cimitero, poi diventato tempio, poi diventato chiesa, ed infine cattedrale, che era sopravvissuto allo scorrere lento dei secoli.
Massimo lo sapeva, sapeva tutto di San Paragorio e della sua storia.
Guardò Francesca sfilare accanto alla cancellata del piccolo giardino che faceva da scenografia alla magnificenza silente della vecchia cattedrale. La osservò dischiudere le labbra e lasciare che lo stupore per una testimonianza tanto tangibile del passato le si impregnasse negli occhi.
«Questa chiesa è bellissima!» sussurrò infine «Non l'avevo notata ieri, passeggiando per Noli.»
«È decentrata, solo se sai che esiste la puoi raggiungere. Vedi quel ponte?» disse Massimo facendo un cenno del capo in direzione del paese «Quello è ponte vecchio. L'antico collegamento tra il cimitero, situato appena fuori dalle mura, e la cittadella. In epoca medioevale qui sotto c'era un torrente, sul quale sorgevano le botteghe dei tintori. Ancora oggi, nelle stagioni di grandi piogge, si riempie facendo tornare in auge l'utilizzo dell'antico passaggio.»
Francesca ascoltava attentamente ogni sua parola, sembrava davvero che si dissetasse di tutte le informazioni che lui era in grado di darle.
E questo lo rendeva tremendamente felice. Quasi euforico.
Superarono la chiesa in silenzio, entrambi con lo sguardo che si perdeva verso la cima del campanile.
Dietro alla vecchia cattedrale la città era più nuova, un ammasso informe di costruzioni degli '60, in grado di deturpare persino il profilo magico di una città un tempo gloriosa.
«Per di qua.» disse massimo, afferrando la mano di Francesca e tirandola delicatamente in direzione del Real Collegio, situato, appunto in via del Collegio «Se una vecchia via è sopravvissuta al tempo, non può che essere qui dietro. L'unica costruzione ad avere più di trecento anni, a parte la chiesa e il ponte, in questa parte della città, è questa!»
Francesca si sottomise al tocco della sua mano, si fece guidare come una bambina in gita scolastica, mentre gli lanciava negli occhi uno sguardo che Massimo si concesse il lusso di definire ammirato.
Poi improvvisamente si irrigidì, stringendogli convulsamente le dita.
«Ho di nuovo quella sensazione, Massimo! Qualcuno mi sta seguendo!» gli sussurrò piano, avvicinandosi al suo orecchio.
Il professore si guardò intorno, cercando di non dare nell'occhio. Non c'era nessuno. Eppure, anche lui, cominciava a non sentirsi più tanto tranquillo.
«D'accordo Francesca, adesso le ipotesi sono due: o torniamo indietro e tentiamo domani, con il rischio di essere nuovamente seguiti, oppure lo cogliamo di sorpresa e cominciamo a correre come pazzi in mezzo alle case. Qui i vicoli sono stretti, se lo seminiamo e ci infiliamo nella boscaglia, non sarà più in grado di trovarci.» le strinse la mano «Ammesso che qualcuno ci sia... In caso contrario avremo semplicemente fatto la figura dei pazzi con i vacanzieri che si dirigono in spiaggia!»
Francesca si concesse una piccola risata in mezzo all'inquietudine.
«Allora, cosa vuoi fare?»
«Tu hai una vaga idea di dove possa essere l'inizio del sentiero?» gli chiese lei, continuando a fingere di guardarsi intorno con aria spensierata.
«Da bambino mio nonno mi diceva sempre una frase che mi è tornata in mente, quando ho letto sulla lettera della via aperta dietro alla vecchia cattedrale: di qui comincia un cammino irto e pieno di pericoli che nessun bambino dovrebbe mai fare. Un giorno da uomo lo farai. Ti prometto che lo farai, diceva indicandomi un anfratto praticamente invisibile dietro i garage di un condominio che solo apparentemente confinano con il vecchio collegio.» fece una pausa, cercando di disegnarsi perfettamente nella mente quella che aveva sempre solo considerato una spaccatura del terreno. «Ma tieniti pronta, il passaggio è stretto. Dovremo infilarci dentro alla velocità del fulmine se vorremo far perdere le nostre tracce!»
Intuì il petto di Francesca alzarsi ed abbassarsi sotto la forza di un sospiro.
«Sei sicuro che sia quello l'inizio del sentiero?»
«No, non lo sono. Ma se guardi bene, dietro a quel palazzone e al collegio, parte subito una collina. Proprio in quello che, da qui, mi sembra essere quel punto, si abbassa leggermente.»
Francesca annuì.
«Ok, Massimo. Proviamoci!»
Annuì anche lui di rimando.
«Allora, da qui dobbiamo fare una svolta nella prima stradina a sinistra, poi la seconda strada a destra ed infine di nuovo a sinistra. A quel punto ci troveremo il vecchio collegio proprio davanti. Di lì ci infileremo nel buco dietro al garage. Tutto chiaro?»
«Chiarissimo!»
«Molto bene. Sei pronta?»
«Pronta!»
«Allora corri!»
Con uno scatto che non si concedeva dai tempi del liceo, in cui faceva parte della squadra di atletica leggera, Massimo cominciò a correre con quanta forza aveva in corpo.
Avvertiva il fiato di Francesca appesantito dallo sforzo. Gli correva accanto facendo sobbalzare l'enorme zaino che portava in spalla, al ritmo frenetico dei suoi passi pesanti.
Corsero a perdifiato. Superarono le case, le stradine, sfilarono accanto ai turisti che li guardavano allibiti, con un accenno di rimprovero negli occhi. Svoltarono l'ultimo angolo.
Eccolo! Il collegio faceva bella mostra di sé su una piazza Vivaldo invasa di macchine e di bambini urlanti.
Superarono la facciata, malamente rimaneggiata negli anni, si infilarono dietro il muraglione dei garage dell'orrendo condominio, e a quel punto Massimo lo vide.
Era come se lo ricordava. Un buco informe che sembrava più una grossa crepa del terreno che l'inizio di un cammino cantato dai libri di favole.
Con uno scatto di reni ci si infilò dentro, afferrando Francesca per la mano e trascinandosi dietro anche lei.
Il buio si poteva tagliare con il coltello.
Percorsero quelli che gli parvero alcuni metri, poi una luce tremolante gli apparve poco più avanti.
Fece ancora due passi, con la mano di Francesca sempre stretta nella sua.
Raggiunse il chiarore dei raggi del sole che filtravano tra un ricco strato di fogliame e di rami aggrovigliati.
«Qui sembra esserci un'uscita coperta dalle foglie.» disse quanto più piano poteva.
«Prova a smuoverle. Vedi se dietro c'è solo altra terra o se questo cunicolo sbuca da qualche parte!» gli rispose a bassa voce Francesca.
Massimo afferrò un ramo, lo strattonò con tutta la forza che gli concedevano le braccia.
Le foglie si smossero. Lui tirò ancora. Le schegge del legno gli entrarono nella carne della mano facendolo imprecare.
Poi finalmente la strana pianta si arrese alla sua violenza e un piccolo passaggio si creò ta i rami.
Lui ci si infilò dentro, afferrando ancora più saldamente la mano di Francesca ed aiutandola a superare la barriera di vegetazione.
Quando furono dall'altra parte, entrambi si accasciarono per terra e ripresero fiato, subito dopo aver sistemato le foglie per coprire il passaggio che avevano appena oltrepassato.
Sentiva il suo cuore battere ad un ritmo che, per un istante, gli fece temere un principio di infarto.
Poi guardò Francesca. Aveva la pelle del viso resa lucida dal sudore, i ciuffi di capelli bruni appiccicati alla faccia.
E malgrado la devastazione della corsa, le macchie di terra sulle guance e un graffio all'altezza dell'occhio destro, era bella da togliere il fiato.
La vide osservare lo strano pavimento su cui erano accasciati e, seguendo i suoi occhi fatti di acqua, notò degli enormi lastroni di pietra scura che potevano tranquillamente essere fatti di ardesia.
Spostò lo sguardo verso l'alto, e vide che la pavimentazione continuava verso la sommità della collina, perdendosi nella vegetazione rigogliosa della riviera di ponente.
«È la strada giusta.» sussurrò piano.
Il volto della donna si illuminò in un enorme sorriso. «Benvenuta sul sentiero del pellegrino, Monna Francesca!»

La donna a cui nessuno riuscì a dipingere gli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora