Capitolo 26 - Res Publica Iuanensis

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Sotterranei segreti di monte Ursino
12 agosto 1995
Ore 01,15

Massimo avvertiva la sua stessa bocca aperta per lo stupore, mentre Francesca, immobile al suo fianco, aveva cominciato a stringergli nervosamente la mano.
«Il tedesco idiota, di cui ho appena alleggerito il mondo, era un imbecille che seguiva le tracce dettate da suo nonno. Uno dei pochi soldati tedeschi evidentemente dotato di intelletto, che aveva collegato la difesa dei Nolesi nei confronti di Monte Ursino, durante la guerra, alla custodia di qualcosa di prezioso. Si era semplicemente fatto due domande e aveva capito che, se Noli un tempo era stata grande, se aveva accumulato ricchezze, senza che ci fosse traccia del loro ritrovamento o del loro baratto in cambio di qualcosa, potevano semplicemente essere ancora qui. Suo nipote era un imbecille assetato di denaro, ma mi è servito per pedinarti. Io non avrei potuto farlo, il rischio che mi vedessi e mi riconoscessi era troppo alto. Non ero sicuro quanto quell'idiota che monte Ursino fosse il posto giusto. Ma mi sbagliavo. Hans Schmidt aveva ragione. Con il senno di poi mi sarebbe bastato fingere di vendere quello stupido bar che per anni avevo usato come copertura senza concludere nulla, appostarmi qui e aspettare che tu e la tua Monna Francesca arrivaste e apriste la via. Avrei risparmiato la montagna di soldi spesi per mantenere quel mentecatto all'hotel del Vescovado.» fece una pausa, guardando Francesca.
«A proposito, signorina. I suoi occhi sono davvero leggendari come narra la storia di Noli!»
«Giacomo, scusa, ma non capisco!» lo interruppe Massimo. «Perché stai facendo tutto questo? Perché vuoi cancellare questi documenti che sostieni siano nascosti qui sotto? Tu ami la storia!»
Il luminare travestito da barista si irrigidì di colpo, iniettando di odio le sue iridi scure.
«È stata Genova la grande repubblica del Mediterraneo. Genova, solo Genova!
Ho già dovuto tollerare a stento la Serenissima, con le sue manie da gran signora, con la sua aria di superiorità che si è sentita garantita da quattro canali pieni di acqua putrida! Noli non è altro che un paesino affacciato sulla costa, e io non posso permettere che qualcuno si azzardi nuovamente ad offuscare la grandezza della Res Publica Iuanensis!»
Era follia quella che Massimo gli leggeva negli occhi. E con la follia, lo aveva imparato stando accanto a suo nonno, non si poteva ragionare.
Doveva cercare di prendere tempo, di farlo parlare.
Se quei documenti esistevano, il passato di Noli avrebbe potuto essere dimostrato alla storia. Non poteva permettere che venissero distrutti. Ma allora perché nessun suo predecessore lo aveva mai fatto? Il percorso affrontato da lui e da Francesca era quello che aveva fatto suo nonno, così come il nonno di suo nonno ancora prima. Qualcosa gli sfuggiva.
«Hai ragione, Ignazio!» fece una pausa cercando di sondare il suo sguardo. «Posso chiamarti Ignazio?»
Un cenno del capo di quello che credeva un suo amico gli sancì il permesso per continuare a parlare.
«Genova è stata grande, ha solc...»
«È stata la più grande, Massimo! Le sue navi terrorizzavano i mari, i suoi cannoni mietevano vittime tra i più grandi pirati del tempo, il suo stendardo era visibile sulle coste di tutto il Mediterraneo, incutendo paura e rispetto!»
L'espediente aveva funzionato. Ignazio parlava, come se fosse stato davanti ad una platea di elettori.
Aveva tempo di pensare a qualcosa.
«Ma come ha fatto a venire a conoscenza di quei documenti, professor Appiani? Nemmeno Massimo ed io sapevamo della loro esistenza fino ad adesso...» si intromise Francesca, garantendogli altro tempo.
«Non solo è terribilmente bella, ma anche curiosa, signorina!» rispose lui sorridendo. «Forse un tempo i Nolesi erano meno attenti di adesso a mantenere il segreto. Evidentemente, tanti anni fa, la leggenda di Noli era sulla bocca di tutti, e non era conosciuta solo dalla dama, dal suo pittore e da pochi vecchi che si ostinano a crederci. Vede Francesca, la mia è una famiglia antichissima. Molti anni fa, un mio antenato di nome Donato Appiani, fuggì da Noli nella notte in cui le truppe di Napoleone Bonaparte stavano prendendo possesso della città. Donato era di Genova, ma da tempo aveva deciso di passare le giornate a Noli, per allontanarsi dalla frenesia della grande repubblica. Lì aveva conosciuto Bartolomeo del Bottari, pittore ufficiale di Noli. Donato e Bartolomeo divennero amici, così amici da condividere tutto, o quasi. Nella notte della presa di Noli, Bartolomeo cercò di salvare i dipinti delle Monna Francesca, chiedendo l'aiuto del mio avo. In quell'occasione il pittore si lasciò scappare qualcosa riguardo ad un segreto che la dama custodiva, a dei documenti che avrebbero potuto far scoprire al mondo cosa la Quinta repubblica era stata veramente. Donato aveva paura della morte. Era un uomo pavido, assetato solo di ricchezze, e i soldati si stavano avvicinando. Lì per lì non diede peso alle parole di Bartolomeo, e scappò. Ma qualcosa continuava a sussurrargli all'orecchio che il suo amico cercasse di proteggere qualcosa di più di qualche ritratto impolverato. E così scrisse un diario, nel quale parlava delle dame che proteggevano i documenti segreti e quello che, lui era giunto a pensare, fosse un tesoro. Donato morì poco dopo, un male sconosciuto se lo portò via in fretta, e così il suo sospetto venne dimenticato tra le pagine di un libricino rilegato di pelle scura.
Io ho trovato quel libricino quando ero solo un ragazzo. E sa cosa c'era scritto sulla copertina, signorina? C'era scritto: il tesoro nascosto di Naboli la grande.» fece una pausa, lasciando che il suo viso fosse solcato da un'espressione di disgusto. «Fandonie! Genova è stata grande. Genova è, e sarà sempre la grande!» si batté un pugno sul cuore, in un gesto di estremismo e di devozione malata verso la sua città.
«All'interno del diario era annotato cosa Bartolomeo aveva detto a Donato ai tempi d'oro della loro amicizia, quando sembrava che le repubbliche avrebbero potuto continuare a regnare sovrane per sempre. Il segreto di Noli sarebbe stato rivelato alla storia, quando un pittore fosse riuscito ad ultimare il ritratto di Monna Francesca.» si interruppe nuovamente, si massaggiò la fronte per un istante.
«Io voglio quelle carte! Non so cosa siano esattamente. Donato nel suo diario parla di documenti che cambierebbero la storia che conosciamo. A me non interessa! Io voglio solo che la memoria di Genova e della sua grandezza non possa mai più essere messa in discussione da nessuna Naboli la grande!»
Massimo aveva cominciato a farsi ronzare nella testa un'ipotesi assurda quasi quanto l'idea di una donna che si presentava, uguale, ogni cinquanta anni per farsi dipingere da un pittore.
Se, in mezzo al delirio di onnipotenza di Ignazio, qualcosa di quel diario avesse voluto dire qualcosa di importante? Un giorno, quando un pittore fosse riuscito ad ultimare il ritratto di Monna Francesca, così aveva appena detto. Non aveva senso. Nel 1784, anno in cui quel Donato era scappato da Noli, tutti i ritratti erano stati ultimati, e nessuno era ancora stato trafugato. Le dame erano tutte allineate nella torre sopra alle loro teste. Perfettamente dipinte, se non per un particolare.
Nessuno quadro, tranne il primo, raffigurava gli occhi di Francesca.
Forse era quello che i pittori, le dame e il custode attendevano da tanti anni per poter rendere noto il segreto? Un pittore che riuscisse a dipingere gli occhi della sua dama?
«Adesso basta!» Ignazio interruppe ancora una volta i pensieri che gli vorticavano nella mente ad un ritmo irrefrenabile. «Scegliete se vivere, consegnandomi quei documenti, e passando la vostra vita a dimenticare tutto o ad essere etichettati come pazzi, oppure se farvi ammazzare nel tentativo di difenderli.» si arrestò per fare un sorriso amichevole a Massimo. «Non fare lo stupido, vale davvero la pena morire per far riemergere un passato dimentic...»
Un nuovo sparo vibrò nell'aria immobile della notte. Ignazio Appiani cadde a terra, nello stesso modo in cui era caduto il tedesco di poco prima. Si accasciò su se stesso come un burattino a cui il burattinaio aveva allentato i fili.
E, di colpo, il silenzio tornò ad urlare nella notte.

La donna a cui nessuno riuscì a dipingere gli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora