𝟒𝟏. 𝐋𝐚 𝐯𝐢𝐞 𝐞𝐧 𝐫𝐨𝐬𝐞

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La magia degli Champs Elysées illuminati dalla luna e dalle sofisticate luminarie poste hai lati dei suoi immensi viali erano uno spettacolo magico, reso ancor più speciale se ammirato dal sedile di una limousine con un indosso un vestito degno di una principessa.

Parigi era da sempre una delle mie città preferite

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Parigi era da sempre una delle mie città preferite. Uno di quei luoghi nel quale sognavo di poter vivere come in uno di quei film anni ottanta, dove un amore travolgente non era l'eccezione alla regola e dove le protagoniste sorseggiavano elegantemente calici di vino rosso in un Bistrot di Monmartre.

Era tutto bellissimo ma mai avrei mai immaginato, che in un periodo così incasinato della mia vita, la capitale francese potesse veramente diventare casa mia.
Una casa diversa ma che mi avrebbe dato tutto il necessario per ricominciare da capo.

La Renault non era la mia prima scelta, devo essere sincera. Non aveva particolari vittorie o podi all'attivo, e il colpo di grazia dato dalla RedBull nei confronti dei loro motori era stata probabilmente la ciliegina sulla torta di quel periodo buio nel quale i transalpini erano incappati.

Tuttavia era una scuderia determinata a risorgere dalle ceneri, disposta a migliorare e ad evolversi, dimostrando al mondo il loro vero potenziale. E avevamo scelto me per aiutarli in quell'impresa.

La firma del contratto era stata tutt'altro che cosa semplice.
Avevo lasciato la Ferrari meno di tre mesi prima e nonostante tutto quello che era capitato, il mio cuore avrebbe battuto sempre, solamente per loro.

Per questo motivo dopo aver ponderato per bene tutte le scelte a mia disposizione, avevo temporeggiato il più possibile l'ufficialità di quell'impiego.
Cyril era stato magnanimo con me da questo punto di vista, dandomi tutto il tempo necessario per riflettere sulla sua sua proposta. Fissando però l'ultimatum a quella sera, durante la festa aziendale di fine estate.

"Estás callada (sei silenziosa)" commentò Ander dal sedile di fianco, facendomi distogliere lo sguardo dal paesaggio, rivolgendolo verso la sua figura composta, vestita di tutto punto.

"Potrei dire la stessa cosa" replicai con tono piatto, incatenando i miei occhi con i suoi "siamo coinquilini da due settimane e a stento mi hai rivolto la parola" aggiunsi, visibilmente stanca di quel comportamento "si può sapere cosa ti prende o devo chiedere l'aiuto da casa?"

Alle mie parole il cileno scosse il capo, emettendo un lungo e profondo sospiro, facendomi capire che il mutismo dei giorni precedenti non era frutto di un capriccio bensì il risultato di qualcosa di più profondo, che in un modo o nell'altro lo aveva scosso.

"Ero invidioso" ammise, accennando un flebile sorriso "invidioso delle tue proposte di lavoro, del modo in cui tutti ti elogiavano per averti in squadra" una risata amara sfuggì dalle sue labbra, provocandomi un brivido di disagio lungo la schiena "Io non ce l'ho con te sia chiaro, so che per arrivare dove sei arrivata, hai fatto carte false e sono il primo ad essere contento per te. Tuttavia mi ferisce nell'orgoglio aver ricevuto solamente una misera offerta di lavoro dopo tutto quello che ho conseguito. Tre anni estenuanti di università e tirocini con il massimo dei voti, due anni in Pirelli e questo è tutto quello che ottengo. Un contratto a scadenza, non prolungabile in Renault"

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