Capitolo 20

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Pov's Tancredi

«Tancredi.»

No, non sono loro. Non possono essere loro. Mi giro verso le due voci ed eccoli lì. I miei genitori. Loro erano le persone più importanti della mia vita, ma hanno deciso di buttarmi fuori casa solo per il mio orientamento sessuale.

«C-che ci f-fate voi q-qua?» dico balbettando. Sono paralizzato, non riesco nemmeno a parlare.

«Siamo venuti per parlarti.» dice mio padre.

«C-che v-volete?»

«Noi partiremo. Non staremo più a Milano, andremo a Roma. E vogliamo portarti con noi.» dice mia madre.

Il mondo mi crolla addosso. Loro non possono dirmi questo, non possono cacciarmi di casa per poi farmi tornare con loro.

«N-no.»

«Tancredi non era una domanda. Ma un'affermazione. Tu verrai con noi.» mio padre si avvicina a me ed io indietreggio.

«No. Io non verrò con voi. Mi avete cacciato di casa solo perché sono gay, e adesso non potete obbligarmi a venire con voi. Io qua ho degli amici e devo finire la scuola. Con voi non ci voglio più stare. Io vi odio!»

Uno schiaffo mi arriva in faccia. L'ennesimo schiaffo di mio padre.

«Sappiamo dove abiti. Oggi pomeriggio ti verremo a prendere.» loro se ne vanno, lasciandomi in balia delle mie lacrime, con una guancia probabilmente rossa a causa dello schiaffo. La bidella mi vede e corre da me.

«Tancredi cosa è successo?»

«Per favore vada in classe mia e chiami Emanuele Giaccari. Ho bisogno di lui.»

Le lacrime scendono sul mio viso e non vogliono fermarsi. Sono nel pieno di un attacco di panico e spero che Lele arrivi al più presto possibile.

Pov's Lele

Bussano alla porta, la bidella di prima entra in classe.

«Buongiorno. Scusate se interrompo di nuovo la lezione, ma Tancredi Galli ha un attacco di panico e vorrebbe che Emanuele Giaccari andasse da lui.»

Mi alzo dal posto e corro da Tancredi. Lo trovo accasciato a terra con le mani tra i capelli. Mi avvicino a lui e vedo che ha una guancia rossa.

«Tanc, piccolo, sono io Lele.» cerco di prendergli le mani ma lui le ritrae.

«Piccolo non voglio farti del male. Per favore dammi le mani.»

Questa volta si fa toccare. Gli prendo le mani e gliele metto sul mio petto, esattamente dove si trova il cuore.

«Respira piano.»

Inizia a respirare e dopo un po' si calma. Lo prendo in braccio e lui si aggrappa a me come se fosse un koala.

«Piccolo mi vuoi dire cosa è successo?» gli accarezzo la schiena per non farlo agitare.

«I miei genitori vogliono che io vada a Roma con loro.»

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