Capitolo 23

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.23.

SETH

«Sei bellissimo», mi contemplò Silene, come se stesse constatando una verità assoluta

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«Sei bellissimo», mi contemplò Silene, come se stesse constatando una verità assoluta. Buffo, pensavo lo stesso di lei. La strinsi a me ancora una volta, sdraiandoci nella vasca da bagno, e immergendoci in parte nell'acqua calda, fra schiuma, bolle di sapone, e vapore acqueo. Fissai truce, i segni immondi sul suo braccio sinistro, poco sotto la spalla, provando ancora quella rabbia cocente. Maledetto bastardo con le pinne. Se avessi potuto, lo avrei ucciso di nuovo. Intuendo la natura dei miei tetri pensieri mi distrasse con dolcezza, strofinando il delizioso nasino contro al mio, annodandomi le budella. Non potevo continuare ad assecondare la ragione, quando tutto di me remava contro. Avevo già commesso un crimine, aggiungerne un altro non avrebbe peggiorato la situazione, e presto Silene sarebbe tornata a casa, al sicuro. Appoggiò il capo contro al torace, cullata dalle mie pigre carezze: «Raccontami qualcosa di te».

Non fu una domanda, ma ubbidii alla richiesta «Sono stato addestrato per essere un killer professionista. Avevo undici anni quando mia madre, una delle massime autorità notturne, mi affidò una missione: sopravvivere al rigido inverno, in mezzo ai pericoli del bosco», spiegai, rammentando un periodo alquanto tetro della mia vita.

«È orribile», commentò lei, strappandomi un sorriso amaro.

«Sì, lo è stato; ma grazie a questo non provai più paura. Non avevo più sentimenti sgradevoli ad animare la mia coscienza... da quando ti ho incontrata, la provo di nuovo. Provo di nuovo tutto», le confessai.

Lei si voltò di trequarti per guardarmi: «Hai paura di me?», domandò, sorpresa.

«Mi terrorizzi», l'aiutai a girarsi del tutto, caricandola in grembo, «Mi terrorizza averti a portata di mano, e non poterti toccare quando siamo in pubblico. Mi terrorizza la tua natura, di appartenere a fazioni differenti, e soprattutto, mi terrorizza il fatto che oggi avrei potuto perderti per sempre», le accarezzai una guancia, prendendomi tutto il tempo del mondo nel godermi la morbidezza.

«Tu mi hai salvata», precisò, come se questo potesse giustificare il fatto di non averla protetta.

«Io ti ho condannata», obbiettai. Il senso di colpa gravava sulle spalle quanto un macigno.

Contornò il mio viso coi palmi delle mani: «Allora è una bella condanna, questa», e strofinò ancora una volta il naso sul mio. L'attirai contro il mio petto, baciandola di nuovo. Non riuscivo a farne a meno. L'erezione pulsava fra le sue cosce. La udii ansimare quando la vulva, ricoperta da una leggera e soffice peluria, scivolò lungo il mio membro, sollecitandolo a indurirsi maggiormente ed eccitandomi ancora di più.

Silene si aggrappò alle mie spalle quando intuì cosa volessi farle. Aiutandomi con la mancina, indirizzai il fallo verso l'alto e accompagnai i movimenti della mia cerbiatta. Le sfiorai la fessura con la punta, frizionandole il clitoride e guardandola dritto in quegli occhi nocciola.

Lei, rossa dalla vergogna, gemette di piacere mentre nascondeva il suo viso nell'incavo del mio collo. Il forte profumo del bagnoschiuma mischiato al suo, più tenue, mi stava dando alla testa. Presi fiato, inspirando con forza dal naso e trattenendo il respiro per non perdere il controllo della situazione mentre con estrema premura, la penetravo. A ogni centimetro, lei conficcava le unghie nella mia pelle, soffocando lamenti e strizzando gli occhi. Dovetti fermarmi; era talmente stretta che temevo di spezzarla in due. Per distrarla dal dolore, la baciai di nuovo, lasciando che fosse lei a guidarmi come meglio credesse.

Prendendo l'iniziativa, Silene provò a muoversi, sobbalzando al minimo movimento. L'acqua, ormai tiepida, sciabordava fra i nostri corpi bagnati e accaldati. I respiri rarefatti, i cuori in tumulto, e le carni bollenti. Affondai il volto nell'incavo del suo collo, imponendomi di non sopraffarla, afferrandole i fianchi, e accompagnando i movimenti insicuri, con decisione, spingendomi in profondità dentro di lei.

Ascoltai ogni gemito, ottenebrato dal desiderio di morderla, e marchiarla come mia. Non potevo. Volevo che scoprisse il vero piacere, donandole il suo primo orgasmo. Affondai la mano destra nella schiuma, toccando e accarezzando, sopra al nostro punto di unione, il piccolo clitoride.

La schiena di Lene si inarcò, abbandonando la testa all'indietro e sollevando i capezzoli turgidi verso l'alto. E quando ne presi uno in bocca, succhiandolo avidamente, sentii i muscoli della vulva contrarsi di piacere, facendo inevitabilmente venire anche me.

***

Silene rise di gusto mentre provavo ad asciugarla col mio asciugamano. Anche se non era una notturna, questo non  mi vietava di praticare le vecchie usanze. Era nuda, a differenza mia, stesa in mezzo alle lenzuola del letto. I capelli umidi, e il sorriso radioso, la rendevano ancora più bella di quanto già non fosse. Mi chinai in mezzo alle sue gambe e leccai le tracce di sangue della sua verginità.

Lei smise di ridacchiare, guardandomi improvvisamente perplessa.

«Cosa?», chiesi, interrompendomi.

«P-Perché lecchi il sangue uscito da...», lasciò il discorso in sospeso, ma io compresi lo stesso.

Scrollai le spalle: «È nostra tradizione farlo con la femmina che si ama se lei ci dona la sua purezza».

Fu allora che accadde. Un grido proveniente all'interno della reggia, ci interruppe, e fui costretto a dividermi da lei, mio malgrado.

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