Capitolo 14

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.14.

SETH

Mi imposi di staccarmi da lei, a malincuore, e a seguito delle formalità, in cui stabilimmo una trattativa

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Mi imposi di staccarmi da lei, a malincuore, e a seguito delle formalità, in cui stabilimmo una trattativa.

Il sangue mi ribollii nelle vene. Quel maledetto pezzo di carne si permise di toccare Silene. Le accarezzava la testa, assicurandosi che stesse bene. Sta un fiore, quindi levale le mani di dosso. Strinsi i pugni, le braccia distese lungo i fianchi. La rassicurò che presto sarebbe stata in salvo, ripetendo il suo soprannome: Lene. Erano stati insieme? Lei era sua?!

Le mani prudevano dalla voglia di ammazzarlo. Scossi il capo, e alcuni ciuffi ribelli mi solleticarono la fronte. Lei non apparteneva a nessuno se non a me. Era mia. Mia e basta.

Ero furente, desideroso del sangue erbivoro tra le fauci. Gavriel mi venne vicino, sussultando alla vista del mio sguardo: «Amico, calmati. Stai uccidendo il cervo con la forza del pensiero, o cosa? Rilassati, quella si sà che è la tua preda», provò a placarmi, intuendo a cosa stessi pensando. Purtroppo le battutine del cazzo non riuscirono a frenare l’istinto omicida.

Mai togliere la preda al suo predatore.

«Lo so, è lui che non lo sa. Se continua a starle così maledettamente vicino, sarà un cadavere ambulante!», snudai i canini in un ringhio grifagno, arricciando il naso di conseguenza. Il mio compagno di battaglie impallidì, indietreggiando verso casa.

La femmina strusciò la fronte, e il naso, su quella dell’alfa erbivoro, il suo promesso, peggiorando il mio pessimo stato d’animo.

Nel linguaggio del corpo della mia specie, quello era un gesto d’affetto molto intimo e privato. E lei lo mostrava in pubblico così facilmente?!

Un’altra sgradevole sensazione attanagliò lo stomaco, oltre che il petto, lacerandomi le interiora. Fu doloroso vederla in atteggiamenti confidenziali con qualcuno, e un pensiero crudele si insediò nella mente: quello di farle provare la stessa medicina e umiliarla.

Il cervo si congedò assieme agli altri soldati. Tutti illesi. Per il momento. E quando tutte e tre le vetture sparirono all’orizzonte, imbrunito dalla sera, mi diressi da lei. Prima che potesse accorgersi della mia presenza, l’afferrai per i fianchi, caricandomela sulle spalle, e conducendola in seguito in mezzo al bosco. Immersi nella natura selvatica nessuno l’avrebbe toccata se non io.

«Seth, che vuoi fare?!» chiese spaventata, provando a ribellarsi. Percepiva la mia collera, ma soprattutto, l’ira. Povera illusa. Credeva che fossi un gattone da coccolare, forse?

Quando la tirai giù, dalle mie spalle, a terra, indietreggiò finché la sua schiena non si scontrò contro un grosso albero, atterrita dalla mia rabbia. Avanzai contro di lei, iracondo. Prima che potesse replicare, tirai un pugno contro al tronco di quest’ultimo, di fianco al lato sinistro del suo viso, scheggiando il legno. Pezzi di tronco, volarono in aria, ferendo la gota destra. Silene soffocò un urlo, proteggendosi il volto con le mani.

«Il tuo fidanzatino ti ha lasciata sola col mostro. Poverina, ti mancava il tocco affettuoso del tuo promesso, puttana mangia erba?!», affermai sinistro, abbassandomi verso il suo visetto cianotico e sconvolto.

«Cosa?! Io...», provò a farfugliare qualcosa, ma non volevo ascoltare le sue giustificazioni.

Tirai un altro pugno, mancandole la testa di qualche centimetro; di proposito: «FAI SILENZIO!», urlai furioso, «Ecco quello che sei. Una tremante gelatina vogliosa del cazzo moscio del pranzo della domenica», sputai.

«N-Non so di cosa tu stia parlando!», strillo nel panico.

«Io credo di sì», aggiunsi crudele, pronto a squarciarle la gola.

«N-No, n-non so n-nemmeno che a-aspetto abbia u-un maschio nudo!», balbettò sempre più impaurita e tremante. Copiose lacrime le rigarono le guance, spaventata come la prima volta che c’eravamo incontrati. Si proteggeva la faccia con le braccia incrociate a X contro di me.

«Sei vergine?!», mi scandalizzai, interdetto dalla sua affermazione. E allora perché hai strusciato la fronte su quella del cervo?!

Silene non rispose, fomentando il mio fastidio nei suoi confronti. Assottigliai lo sguardo affilato, e la dardeggiai di occhiatacce assassine: «Parli quando non devi e non lo fai quando dovresti. Rispondimi», ordinai minaccioso, snudando ancora una volta i denti bianchi. Potevo staccarle la carne dal corpo con un solo morso se solo avessi voluto farlo.

Lei annuii fra le lacrime, e io non le credetti. Afferrai la scollatura del vestito, strappandole di dosso il tessuto, e graffiando il suo décolleté. Squarciai tutto, intaccando appena la pelle bianca, morbida come burro. Sarebbe stato troppo facile farle del male. Fiotti di sangue le solcarono il petto, e l’addome, ma non osò muoversi, né lamentarsi.

Ispezionai attentamente il suo corpo, vagai con lo sguardo sul seno pieno - che a malapena riusciva a coprire con le mani - e la pancia, non trovando segni evidenti di accoppiamento con un maschio della specie. Era anche vero però che ciò che cercavo non era evidente all’esterno. Le andai ulteriormente vicino, schiacciandola contro al tronco e le palpai senza nessun preavviso la vulva. Trattenne il fiato, prendendo aria nei polmoni. Chiusi la mano destra a coppa sul monte di venere, appena censurato da una leggera peluria, invadendo la sua intimità con due dita. La trovai stretta, molto stretta - segno che aveva proclamato il vero - illibata, e...

Sgranai gli occhi e staccai la mano, atterrito.

Bagnata.

L’odore dell’eccitazione femminile impregnò l’aria circostante, saturandola attorno a noi. Il mio cuore raddoppiò i suoi battiti, e le pupille si dilatarono, annusandone il profumo. Scossi il capo con forza e serrai le palpebre per scacciarlo via, mostrando le fauci: «Smettila di giocare con me!», la minaccia. I muscoli guizzavano sotto l’epidermide bronzea, ma non per farle del male.

«N-Non lo faccio apposta!», obbiettò, avvampando di vergogna.

«Davvero?! Provi piacere a essere trattata in questo modo?!». Ero un fascio di nervi, teso e sfibrato dal desiderio. Un desiderio troppo oscuro e proibito a cui poter dare voce. Io la volevo. E questo era ripugnante.

Silene scosse il capo, rossa di rabbia e disagio, con le guance rigate dal sangue, e dal pianto, ma non era abbastanza. Le arpionai il collo; il suo naso fu a un soffio dalla mia bocca: «Allora cosa ti eccita, cerbiattina?», sussurrai, invitandola a parlare. La frustrazione mitigò la rabbia nonostante la mancanza di una risposta. Percepii i pelli della nuca rizzarsi, e il calore del suo corpo, nudo, troppo vicino al mio.
Silene era tutto quello che desideravo, e che non potevo avere. Se l’avessi annientata, tutto questo rammarico sarebbe finito. Avrei voluto leccarle una guancia per catturarne l’odore floreale, lavarle via il sangue dal seno, e pormi in mezzo alle sue cosce calde. Sarebbe bastato poco. Queste però erano riflessioni ripugnanti, orride, e proibite, andavano contro alla nostra legge. Quella naturale.

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