Capitolo 3

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Mi sveglio di soprassalto, come se improvvisamente mi fossi resa conto di dormire. Guardo fuori dalla grande finestra accanto alla vasca e ai miei occhi si presenta un alba tinta di rosso e magenta, che man mano fa spazio all'azzurro di una giornata senza nuvole. L'acqua ormai è gelata e un mal di testa fortissimo, causato dai capelli lasciati bagnati, mi colpisce le tempie, mi alzo, mi asciugo e mi metto una comoda tuta. Lascio il bagno così com'è, tanto non ci tornerò più.
Prendo subito un aspirina e controllo l'ora: 06:25.
Con calma mi guardo in torno, cercando di imprimere nella mia memoria più dettagli possibili, desiderando di avere una macchina fotografica al posto degli occhi in modo da tenere quei ricordi con me per sempre. Anche se mio padre mi ha detto che non avrei potuto portare niente con me, sfilo dalla cornice una foto di tutta la famiglia al completo, quando mio fratello ara ancora vivo.
Era stata scattata nel giardino di casa, forse a Pasqua. Stranamente i sorrisi dei miei genitori erano luminosi e veritieri come non li vedevo da tempo, ed io avevo una faccia così serena, abbracciando il mio fratellino.
Presi un altra foto, risalente invece solo a tre anni fa: in questa ci siamo solo io e William, o Willy come lo chiamavo io. Era stata scattata al 15esimo compleanno di mio fratello. Mi costringo a scostare lo sguardo da quella foto prima di peggiorare il mio umore ulteriormente. Prendo una busta trasparente e metto le foto al suo interno, per poi mettere la busta tra l'elastico dei miei pantaloni e le mutande, in corrispondenza del fianco destro. Prendo una pastiglia dei calmanti che usa mia madre, avendogliene sottratta una scatola dal mobile del bagno. Dopo circa trenta minuti non mi sento ancora abbastanza calma e decido di prenderne un altra. Con la seconda dopo pochi minuti cado in un sonno profondo privo di sogni o incubi, che mi permette di recuperare un po' di forze.
Dopo poche ore mi sveglio di soprassalto quando la porta della mia camera si apre violentemente sbattendo contro il muro. Lo stesso uomo che non mi aveva permesso di uscire la sera prima ed un altro cameriere mi sollevarono di peso dal letto, accompagnandomi al piano sottostante tenendomi per le braccia. Probabilmente questo era dovuto alla tentata fuga della sera prima...
Per le scale mi dovettero praticamente trascinare perché la schiena mi faceva tanto male da non riuscire a stare in piedi. Arrivata al piano di sotto mi trovai davanti altri due uomini in uniforme che mi presero per le braccia allo stesso modo e mi trascinarono fuori. Mentre mi legavano le mani dietro la schiena con delle manette, uno dei due chiese ad un cameriere di casa Moore perché fossi in quello stato, e l'impiegato rispose che nn lo sapeva e di levarsi dal cazzo.
Cerco di liberarmi protestando che non avevo dato addio a mia madre e come risposta ricevetti soltanto uno <<zitta puttana>> e uno strattone. Riuscirono a mettermi in macchina con facilità a causa del male alla schiena che mi impediva i movimenti. L'ultima cosa che vedo prima che la macchina si allontani superando i cancelli della mia casa natale è un'esile figura affacciata alla finestra del primo piano, ed istintivamente sorrido.

L'auto per quel poco che ho potuto vedere è una sportiva ed è nera. Al suo interno a dividere i sedili davanti da quelli dietro c'era una spessa rete metallica, come se avessero paura che li strangolassi con la cintura di sicurezza, cosa improbabile dato che ho delle cazzo di manette ai polsi.
<<mettiti comoda stronzetta, il viaggio è lungo>> mi disse il tizio al posto di guida girandosi a guardarmi, ovviamente alludendo ai miei polsi doloranti.
Non ho nessuna intenzione di ribattere, se quello che ha detto è vero dovrò passare molto tempo con queste teste di cazzo e visto che possono rendermi la vita un inferno è meglio non farli arrabbiare. Non ero uscita molto in quegli ultimi tre anni, visto che avevo dovuto mollare al scuola e gli amici per studiare con un insegnante privato. Avrei voluto scendere e aspirare quell'aria mattutina, frizzante e aspra tanto da graffiarmi i polmoni, ma che mi faceva sentire libera. La macchina ha preso l'autostrada verso non so che posto e i due uomini si mettono a parlare di football e altre cose, mettendo la radio.
Facendomi cullare dal movimento rilassante della macchina dal paesaggio che scorre veloce fuori dal finestrino, mi addormento con la testa contro la portiera. Mi sveglio a causa del rallentare dell'auto e fuori dal finestrino si presenta un cielo uniformemente coperto di nuvole grigie e una giornata luminosa.
Uno dei due uomini davanti si gira verso di me e sento come un piccolo rumore sinistro proveniente dalla sua mano.
Abbasso lo sguardo e un piccolo cerchio nero punta verso di me. Non capisco subito, ma quando realizzo rabbrividisco.
<<Prova anche solo a pensare di metterti ad urlare e ti pianto una pallottola nel piede. Non ti preoccupare abbiamo un kit medico nel bagagliaio, non morirai di certo, ma farà un cazzo di male che te lo ricorderai a vita>>

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