Capitolo 12

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Sento qualcosa alla mia entrata e prima che riesca ad alzare la testa, vengo impalata da qualcosa di ben più grande delle sue dita. Un gemito di dolore molto forte esce dalle mie labbra e quando inizia a muoversi in me mi vengono le lacrime agli occhi. Provo ad alzarmi ma mi afferra il collo con una mano, stringendo quasi fino a farmi soffocare. Da quella posizione non riesco a guardarlo in faccia, ma sento i suoi gemiti di apprezzamento. Quando, troppo presto, incomincia a muoversi più velocemente gemo di nuovo dal dolore e lo imploro di lasciarmi andare. Stringo il suo polso e gli graffio il braccio, ma ad ogni steccata sembra che mi stia squartando in due come un anguria. In che modo quel lancinante dolore può trasformarsi in piacere? Esce da me e prima che possa reagire mi gira a pancia sotto con lo stomaco contro il bracciolo del divano e i piedi sul pavimento freddo. Mi stringe con forza i fianchi e spinge dentro di me senza pietà, senza darmi respiro. Pian piano mi piego su me stessa, troppo stanca per reagire. Ad ogni spinta un sussulto, e dopo quella che sembra un eternità, spinge più a fondo, fermandosi. Sento dentro di me qualcosa di strano, come se mi stessi riempendo. Fa scorrere una mano fino al centro della mia schiena per tenermi piegata in quel modo. Esce da me e sento il suo sguardo bruciare addosso. Le gambe mi tremano e non riesco più a stare in piedi. Toglie le mani da me e io cado per terra, sulle ginocchia, rannicchiata su me stessa con le dita stringo il bracciolo, per restare ancorata alla realtà, senza più forze. Sento solo Aaron che mi solleva da sotto le braccia e mi posa sul divano. Mi rannicchio di fianco e chiudo gli occhi, facendo uscire le lacrime che non riesco a trattenere.
Sento lo scricchiolio del pavimento sotto i suoi piedi e quando avverto che mi copre con una coperta, apro gli occhi e lo vedo uscire dalla stanza chiudendo la porta, completante vestito e messo a posto. Sto ferma immobile per ore, tanto che diventa notte fonda. Quando trovo il coraggio di alzarmi mi avvolgo la coperta ampia intorno alle spalle. A tentoni raggiungo l'interruttore della luce, la accendo, recupero i miei vestiti, le mie stampelle e vado verso la mia camera.
Cado un paio di volte, le gambe sono troppo molli per reggere il mio peso in questo momento.
Arrivata in camera vado in bagno e mi guardo allo specchio. Gli occhi sono gonfi e lucidi, ho un espressione indecifrabile sul volto. In effetti in questo momento ho la mente annebbiata e non riesco a pensare a niente, a parte quanto stupida sono stata a fidarmi di lui, un uomo che conosco da solo qualche mese e a cui avrò parlato tre volte in tutto. Sono stata così ingenua...
Una frase continua a riecheggiarmi in testa,
Sei stata stuprata...diceva quella stupida voce e io ancora non riuscivo a crederci, a quella così tremenda paura e senso di impotenza che avevo provato.
Faccio scivolare la coperta dalle spalle e attraverso lo specchio lungo in camera vedo uno spettacolo raccapricciante: ho il collo pieno di lividi per l'eccessiva forza con cui mi ha stretta, stessa cosa per i fianchi, la schiena e i polsi. Nell'interno coscia ci sono strisce di sangue che mi arrivano fino alle ginocchia, ecco perché fa così tanto male quando cammino. Il labbro inferiore è lacerato e ho la bocca e il mento sporchi di sangue.
Mi immergo nella vasca, mettendo l'acqua fredda, e piango: sfrego la spugna insaponata con forza contro la pelle fino a farmi male, come se in questo modo possa cancellare dalla mia pelle le tracce del suo passaggio.
Mi lavo in mezzo alle gambe perché pensare che ha riversato il suo seme in me mi fa ribrezzo. Finito con il bagno mi avvolgo in un caldo accappatoio e mi lavo i denti con tanta forza da farmi sanguinare le gengive, rivivo le immagini di questa notte e delle lacrime silenziose invadono di nuovo i miei occhi, non facendomi vedere bene. Faccio diversi sciacqui con il collutorio e come uno zombie vado nel letto. Prendo dall'armadio una felpa comoda, dei pantaloni della tuta e dell'intimo per poi rannicchiarmi tra le coperte. Dietro le mie palpebre chiuse vedo i suoi occhi impenetrabili e sento di nuovo quelle sensazioni di oppressione che tanto mi terrorizza, come essere chiusi in una scatola che si stringe sempre più. Mi addormento con il viso contorto in un espressione di dolore e durante la notte mi sveglio più volte, come se riemergessi da un incubo.

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