Capitolo 25

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Dopo massimo un ora mi addormento cullata dalla tranquillità dell'alta quota, anche se avrei preferito guardare ancora fuori dal finestrino. Mi sveglio non so dopo quanto tempo per colpa degli scossoni provocati dall'atterraggio, mentre Aaron mi sta allacciando la cintura di sicurezza. Nonostante ormai io sappia decifrare quando ha intenzione di farmi del male o meno, la sua presenza non smetterà mai di impaurirmi.
Dopo l'atterraggio in un ampio spiazzo sterrato nel mezzo del nulla, ritorniamo in una grande macchina nera, io e Aaron ci sediamo dietro.
I sedili posteriori sono separati da quelli anteriori da una specie di pannello, come nelle limousine, in cui si può aprire una finestrella per parlare con l'autista.
La bestia si avvicina a me prendendo ad accarezzarmi la coscia con movimenti ampi, so cosa vuole.
Infatti mi intima di sedersi su di lui. È inutile combatterlo, devo accontentarlo se voglio la sua fiducia, devo dimostrargli che in fondo lui mi piace, anche se non è vero.
Mi siedo a cavalcioni su di lui e Aaron si lancia famelico sulle mie labbra. I palmi delle sue mani scorrono calde sui miei fianchi, infiltrandosi sotto la mia maglia. Le sue dita si infilano sotto il tessuto dei miei pantaloncini e del mio intimo inesistente. Mi tocca dove sa che mi piace di più e in qualche minuto non riesco a trattenere i gemiti, poggiando la mia fronte sulla sua. Quando i movimenti diventano più veloci, vengo trattenendo un urlo mordendomi forte le labbra. Toglie le mani dal mio corpo e mi fa ritornare al suo posto.
Sento le guance calde e la mente annebbiata, da quanto tempo non mi faceva stare così bene? Forse dalla prima volta che l'abbiamo fatto, ora sembra così lontano...
Chiudo gli occhi godendomi quella sensazione afrodisiaca, e passano lenti i minuti. Quando i rumori della città si fanno più forti, Aaron cerca di convincermi di nuovo ad assumere del cloroformio ma questa volta ho un piano. Tolgo in modo sensuale la cravatta alla bestia, per poi legarmela davanti agli occhi, leccandomi le labbra. Anche se non ne ero sicura, sento che la bestia ha ceduto al mio trucchetto, ridacchiando.
<<E come faccio ad impedirti di sentire?>> un brivido mi corre lungo la schiena, non c'ha creduto affatto.
Mi affretto a dire, sperando di aver ragione <<Tanto so che siamo in Messico>>. Silenzio. Per minuti interi sento solo i rumori esterni e da Aaron niente. Mi alzo lentamente il tessuto che mi copre gli occhi, il respiro frammentato. Sul volto di Aaron c'è un espressione contrariata, arrabbiata, confusa. So che ne patirò le conseguenze, anche se non ho fatto niente. Ho paura, non voglio che mi faccia di nuovo male, non voglio.
La sicurezza che usavo come scudo è sparita in pochi secondi e, chiudendo gli occhi cercando di calmarmi, sento la presa delle sue mani delle mie spalle, che poi spinge in giu, facendomi appoggiare con la testa sulle sue gambe. Con un tono sottile dice semplicemente, mentre mi accarezza lentamente la testa <<A casa dovrai spiegarmi come sai queste cose>>. Il suo tono calmo è ciò che io imparato a temere di più in questo tempo passato insieme.

La macchina si ferma e dopo qualche minuto che non riparte capisco che siamo arrivati, quando la bestia mi toglie il braccio da sopra il fianco, mi alzo e vedo davanti ai miei occhi una gigantesca villa bianca, quasi il quadruplo di quella nella "brughiera".
Mi trattengo dal dargli del megalomane, sono già nei guai così.
Scendo dalla macchina, i sassolini del selciato mi feriscono le piante dei piedi, non ho neanche delle scarpe.
Ad accogliere Aaron alla porta di casa, oltre degli imponenti ragazzi che prendono le borse dalla macchina, ci sono due uomini vestiti in maniera elegante. Aaron li saluta con un brevissimo abbraccio, e si scambiano qualche parola.
Io avanzo incerta, continuando a passare il peso da un piede all'altro per colpa del selciato incandescente.
Quando vedo che si stanno per avviare all'interno della villa, chiamo debolmente Aaron con un "Ehi", non sapendo se dovevo chiamarlo con il suo nome oppure padrone davanti a quegli uomini. Si gira verso di me fermandosi e io lo raggiungo posando finalmente i piedi all'ombra. Sta per dirmi qualcosa quando uno dei due uomini lo interrompe bruscamente, avvicinandosi.
<<Chi è questa giovane donzella?>>
L'altro uomo dice: <<Lascia stare Luis, sarà una puttana>>
Cerco di farmi piccola accanto a Aaron, pensando erroneamente che almeno un po' mi avrebbe difeso da quelle cattiverie. Ma in realtà è vero, sono solo una puttana in questo contesto, sono carne da macello.
Aaron aggiunge freddo << Papà aveva scoperto che una famiglia che riciclava denaro per il cartello sottraeva diversi milioni, lei era sua figlia>>
Sulle loro facce comparve l'espressione di chi ha capito di cosa si sta parlando, evidentemente è una cosa comune rapire delle ragazzine minorenni per stuprarle. Ma poi, ho sentito male o Aaron ha detto "papà"? Vuol dire che sono fratelli?

La villa dentro era magnifica. All'ingesso una doppia scala porta al piano superiore e in mezzo e alla base delle due scalinate c'è addirittura un laghetto con quei pesci giapponesi bianchi e rossi.
Quando mi sto per avvicinare per vedere il laghetto da vicino la bestia mi afferra per i capelli e mi tira a se, intimandomi di stare buona dietro di lui. I tre presunti fratelli incominciano a parlare in quello che dovrebbe essere spagnolo e non capisco niente, dopo pochi minuti si salutano e Aaron mi conduce in quella che deve essere la sua camera, in cui è stata portata la mia valigia.
È pomeriggio inoltrato e credo che tra poco faranno cena. Aaron mi dice che le regole per me non sono cambiate e che dovrò assecondare qualsiasi richiesta da parte degli uomini incontrati in precedenza.
Non gli basta che io sia sua, vuole umiliarmi totalmente.
Lo imploro di non farmi indossare quella insulsa divisa ma reagisce male, colpendomi in viso con uno schiaffo che mi fa girare la testa. Stare in questa casa lo rende evidentemente nervoso.
Camminando dietro di lui con solo il rumore dei miei tacchi contro il marmo del pavimento, arriviamo nella sala da pranzo.

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