Capitolo 16

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Riaffioro alla realtà con un formicolio alla faccia. Mi fa male il collo per la posizione assunta e aprendo gli occhi e guardando l'orologio appeso al muro comprendo che è passata almeno 1/4 d'ora. Man mano che acquisto coscienza, mi accorgo del male si polsi e alle caviglie e il sapore del sangue mi sovviene alle papille gustative, disgustandomi. Aaron è seduto alla sedia davanti alla mia, sta leggendo un libro. Il mento e le labbra sono pulite e lui sembra la persona più tranquilla del mondo. Guardarlo quando lui ancora non si è accorto che mi sono svegliata, a leggere tranquillamente, mi fa ricordare con amarezza il primo mese che abbiamo passato insieme, quando leggevamo in biblioteca. Come potevo sapere che poi sarebbe andata a finire così, con me legata ad una sedia, coperta di lividi e sangue?
Aaron alza gli occhi dalla sua lettura e, vedendo che mi sono svegliata, chiude con un suono secco il libro, appoggiandolo sul tavolo. Tremo, ho paura, sono stanca e vorrei solo scomparire una volta per tutte. Il fervore che avevo prima sta pian piano scomparendo rendendomi incline all'arrendermi e lui lo sa. Il suo unico scopo è dimostrarmi che lui ha potere su di me e che mi può piegare al suo volere facilmente. Non posso dargliela vinta.
Avvicina la sua sedia a me, finché le sue ginocchia non toccano la seduta della mia. Mi afferra il mento con una mano e mi dice <<Sai, continuo a domandarmi quanto dolore reggi prima di spezzarti definitivamente>> un brivido mi percorre di nuovo la schiena. <<Mentre non eri cosciente ho ideato qualcosa apposta per te, devo dire che mi ha ispirato molto il medioevo, in particolare l'inquisizione>> spalanco gli occhi, ora sono terrorizzata. Qualche schiaffo posso sopportarlo, ma ora sembra fare sul serio. Ho la tentazione di arrendermi e dirgli che ha vinto, che non mi opporrò più, ma mi obbligo a resistergli.  Sembra che lui abbia capito che non intendo demordere, quindi si alza, mi slega dalla sedia e mi conduce al piano superiore. Non mi reggo in piedi tanto che mi deve trascinare per le scale da un braccio, perché ogni due passi perdo l'equilibrio.
Mi porta nell'unica delle tre stanze "proibite" che non ho ancora visto: il suo studio. Spalancando la porta, che era chiusa a chiave, si apre davanti a me una stanza ampia nella quale troneggia una scrivania in legno scuro con una sedia di pelle che da le spalle ad una grande finestra che illumina la stanza. Davanti alla scrivania c'è una poltroncina in pelle e a costeggiare il muro una libreria piena di fascicoli e libri. I la porta e si mette la chiave nella tasca dei pantaloni, poi mi lascia il braccio e io cado rovinosamente a terra, riuscendo a mettere le mani davanti prima di spaccarmi il naso contro il parquet.  I miei polsi e le caviglie sono lividi e graffiati, in qualche punto ho anche sanguinato, forse per i movimenti involontari provocati dal dolore. Aaron raccoglie frettolosamente le cose che ci sono sulla scrivania e le posa sulla poltroncina, poi apre un cassetto e prende delle corde. La domanda a questo punto sorge spontanea: cosa ci fanno delle corde nel cassetto della scrivania? Progettava di impiccarsi al lampadario? Ce ne sono quattro abbastanza lunghe, che lega per un'estremità alle quattro gambe della scrivania. A passi ampi mi raccoglie da terra e mi sbatte a novanta con la faccia sul piano di legno. Sento che indugia spingendo con i fianchi verso il miei glutei, ma dopo qualche secondo è come se si risvegliasse, pronunciando sottovoce "Ci sarà tempo dopo per questo". Mi strappa di dosso la felpa, lasciandomi senza null'altro. Con una forza che non pensavo possedesse strappa il sottile tessuto dei leggins e delle mutande, lasciandomi completamente nuda ed esposta. Non ho il tempo di pensare niente perché tutto succede tanto veloce da non lasciarmi fiato. Mi fa mettere a pancia in giù e mi lega le caviglie a due corde, in modo da non poter farmi muovere le gambe in nessun modo, e quando cerca di fare la stessa cosa con i polsi, cerco di ribellarmi, inutilmente. Visto che sono bassa, tutto il mio corpo sta perfettamente dentro i bordi della scrivania, in modo da bloccarmi ancora meglio. Mi fa male il seno perché sono premuta con troppa forza contro il tavolo e entrambe le guance a contatto con il legno mi bruciano terribilmente, per non parlare dei polsi e delle caviglie già feriti in precedenza che fanno ancora più male per l'attrito della corda ruvida contro la mia pelle.
Sento Aaron prendere qualcosa da uno sportello e poi sento qualcosa di liscio scorrermi dal centro delle scapole ai glutei. Lui mi si para davanti e devo fare uno sforzo indicibile per guardarlo in faccia, sia psicologicamente sia fisicamente. Mi fa vedere cosa ha in mano e scopro essere una frusta lunga e sottile, di pelle nera. La punta si dirama in piu "frange" sottili. La fa scorrere tra e dita e pronuncia, con la mente altrove <<Me l'ha regalata mio padre al mio 17esimo compleanno>>
<<Allora è una cosa di famiglia essere dei sadici bastardi>> dico, lui in tutta risposta mi da un colpo al centro della schiena, e un gemito di dolore e di sorpresa lascia le mie labbra. <<Di chi sei tu? È la tua ultima occasione>> mi prendo qualche secondo per pensare. Poi pronuncio il verdetto <<Non hai capito un cazzo di me>>

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