L'uomo compare nel mio campo visivo con in mano uno spesso ago argentato, indossando un'espressione soddisfatta.
Appena fa un passo per avvicinarsi, un urlo di terrore mi scuote la gabbia toracica senza che io possa controllarlo. Cerco di agitare le gambe per colpirlo ma i miei calci non gli fanno niente.
Si allontana incazzato, poggiando l'ago da dove l'aveva preso alle mie spalle e uscendo furiosamente dalla stanza.
Torna trascinando dietro di se due grossi pesi squadrati, con un frastuono inquietante di catene.
Me li lega alle caviglie con delle cinte di cuoio malconcie e nuovamente cerco di muovere le gambe, ma non riesco neanche a piegare le ginocchia per quanto il mio corpo sia teso e impossibilitato a muoversi.
Un sospiro di nervosismo esce dalle sue labbra e si avvicina di nuovo a me con quel maledetto ago, guardandomi il corpo in cerca di qualcosa da bucare.
<<Ecco qua>> dice con voce entusiasta, sadica, avvicinandosi al mio seno, i capezzoli inturgiditi dal freddo hanno attirato la sua attenzione.
Non avevo neanche avuto l'opportunità di gridare, prima che un dolore pungente a quell'area di pelle tanto sensibile mi mozzasse il respiro.
Buttai la testa indietro nel tentativo di calmarmi e muovermi il meno possibile, ogni respiro mi portava altro dolore, ancora più acuto se possibile.
L'uomo fa poi l'altro capezzolo, utilizzando un altro ago altrettanto spesso.
Dopo poco sento l'aria fredda della stanza colpire le parti del mio corpo bagnate dal sangue, che arriva con strisce lunghe e sottili quasi fino all'ombelico.
Finita la sua opera oscena, fa una risata di gola ed esce dalla stanza per mostrare agli altri scimmioni il suo operato.
Ho sanguinato davvero tanto, la paura mi ha fatto pulsare il sangue molto più rapidamente nelle vene.
Mi domando poi se le sue mani inesperte mi abbiano tolto, con un semplice gesto, la possibilità di allattare al seno, un giorno.
D'altronde però non riesco neanche più a contare i mesi da quando mi è venuto per l'ultima volta il ciclo mestruale.
Non sono più niente, solo un cumulo di ossa e carne.Dopo interminabili ore di strascichi di dolore sordo nel corpo e di solitudine, il mio carnefice viene a liberarmi i polsi dalle restrizioni che mi tenevano appesa al soffitto, lasciandomi cadere a terra come un sacco vuoto.
Lancia sul pavimento vicino a me una piccola pagnotta, dura come pietra, e io mi lancio subito a mangiarla.
Ho tanta sete ma non oso chiedere dell'acqua.
Dopo pochi momenti l'uomo torna un ultima volta nella mia cella: non faccio in tempo a vedere la bacinella che ha in mano che uno scroscio di acqua gelida mi avvolge, infradiciandomi completamente, insieme al panino che tenevo in mano.
Accende poi un condizionatore posizionato su uno spigolo in alto della stanza e subito dell'aria gelida si abbatte sul mio corpo, incominciandomi a far battere i denti. Non potevo spostarmi o ripararmi in nessun modo dato che le mie caviglie erano ancora bloccate a terra da quegli enormi pesi.
<<Buonanotte princesa>> asserisce lo stronzo prima di chiudere la porta alle sue spalle, la luce a neon ancora accesa.
Privazione del sonno, penso subito.
Non posso permettermi di non dormire anche quando ne ho l'occasione, altrimenti non sopravviverò a lungo, nonostante la promessa del mio carceriere ad Aaron.
Guardo finalmente il tavolo che sta appoggiato al muro opposto alla porta.
Riesco ad alzarmi in piedi e a guardare quello che c'è sopra.
Ogni genere di arnese di metallo, come pinze, tenaglie, forbici da giardiniere, bavagli e aghi, insieme ad altre cose che non riesco ad identificare.
Cerco in tutti i modi di arrivare al tavolo, ma sono troppo distante.
La restante parte di quella che dovrebbe essere notte la passo a finire la mia cena, provare a dormire riparandomi gli occhi con un avambraccio e fare incubi che mi fanno svegliare urlando, il tutto contornato da un dolore sordo in tutto il corpo e un freddo insopportabile.Il rumore della porta di ferro della stanza che si apre mi riporta alla realtà e mi alzo subito a mezzobusto, accogliendo con degli occhi carichi di puro terrore il mio aguzzìno.
Fresco e riposato, con dei vestiti nuovi e stirati addosso,mi tira su di peso e mi issa nuovamente i polsi alle cinte attaccate al soffitto.
Cerco si strattonare le braccia per liberarmi dalla sua presa, le immagini degli orrori del giorno prima scorrono nella mia testa come una pellicola cinematografica, ma è inutile. Tutto ciò mi porta solo una ginocchiata nelle costole ed essere appesa esattamente come ieri, ma con le cinghie più strette e il corpo più teso.
Mi disinfetta con le mani pesanti I capezzoli e mi ritorna in mente la minaccia di Aaron
"...dovrete risponderne a me..." aveva detto, probabilmente anche loro erano terrorizzarti dal loro capo almeno quanto lo ero io.
<<Allora...>> dice pensieroso l'uomo, <<ho passato tutta la serata ad ideare una tortura fatta apposta per te, e questa...bhe...farà un male che neanche te lo immagini>>.
Immobile, gli occhi sgranati ed il respiro rapido e scostante.
Credevo di essermi abituata alla violenza ma ogni volta sono terrorizzata come la prima, quando quella maledetta frusta infieriva impunemente sulla carne della mia schiena.
L'uomo fa scattare un piccolo coltellino lucente davanti ai miei occhi, mentre trascina accanto a se un carrellino con sopra un vassoio munito di ago e filo,
Lui si nutre del terrore nei miei occhi e circumnaviga il mio corpo, ricercando il posto perfetto a cui infliggere quella tortura senza senso. I suoi passi si fermano alle mie spalle, le sue mani corrono ai miei fianchi e alle mie natiche, accarezzandomi con veemenza. Riesco a sentire il manico del coltellino percorrere la mia pelle accompagnato dalle sue disgustose dita.
<<Guarda davanti a te princesa>> mi dice, <<di ciao al capo>>
Un uomo mi sta riprendendo con il cellulare, sghignazzando all'ilaritá del collega.
E da lì a pochi secondi il mio supplizio inizia: il coltellino affonda nella pelle in corrispondenza della mia scapola destra, facendo un taglio lungo dal quale sento subito uscire un fiotto di sangue. Dalle mie labbra esce un urlo innaturale che mi lascia senza fiato, che non sento neanche mio, come se non appartenesse al mio corpo, non più.
Un altro taglio viene praticato simmetricamente al primo sull'altra scapola.
Poi si sposta davanti al mio corpo, dove io lo posso vedere, e l'uomo con il telefono si sposta di conseguenza , per riprendermi meglio.
Altri due tagli, simmetrici di nuovo, mi squarciano la pelle sulle braccia poco sopra le ascelle, e poi altri due sotto le clavicole.
Più lo pregavo di fermarsi, più lui rideva e più io perdevo le forze.
Mi aspettavo di svenire da un momento all'altro facendo smettere quell'intensa tortura ma il mio corpo proprio non voleva arrendersi.
Allora altri quattro tagli segnano orizzontalmente i miei fianchi.
Non ho più voce per urlare e forse è l'unico motivo per cui quel mostro si è fermato: non era più divertente.
Allora si gira verso il telefono e, con l'impacciatezza tipica di una persona che ha poco a che fare con la tecnologia, rassicura Aaron, a cui manderanno il video, che mi "ricuciranno" subito.
Mi afferra la mandibola mostrando alla fotocamera del telefono il mio viso, con gli occhi gonfi di lacrime, probabilmente livido e insanguinato dal giorno prima. Poi entrambi se ne vanno per qualche minuto.
Con gli occhi chiusi non sento più le braccia e le gambe, mi sembra di galleggiare nel vuoto, e trovo i pochi attimi di tranquillità che mi servono per non impazzire.
Prendono entrambi a cucirmi le ferite, forse per metterci meno.
Non alzo nemmeno la testa.
Quando lasciano la stanza, la porta socchiusa, chiudo gli occhi e mi sembra quasi di dormire.
Spero di morire, mi dico, sono così stanca che non ho neanche più paura che tutto finisca.—————————————————
Ricordatevi di votare e commentare il capitolo!
STAI LEGGENDO
Contratto di vita
General FictionTutto inizia da un tradimento, uno sbaglio provocato dal rancore e dalla fame di successo. Una cascata di avvenimenti distruggerà il passato e scriverà un nuovo presente pieno di dolore, intrappolata in una prigione tutt'altro che dorata Elizabeth a...