Capitolo 26

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Arrivati nella gigantesca sala da pranzo, troviamo già tutto apparecchiato con ogni ben di Dio.
Seduto al tavolo c'è già quello che sembra l'uomo più adulto tra i tre presunti fratelli, che scopro chiamarsi Damian. Aaron si siede e incomincia a chiacchierare lamentandosi del ritardo di Luis. Parlando del diavolo, compare alla porta della stanza, scalzo e con il completo di quando l'avevo visto per la prima volta, ma con la camicia tutta stropicciata e aperta per almeno 3 bottoni, senza cravatta e senza giacca; in totale contrapposizione con i fratelli, tirati a lucido e impeccabili sotto ogni aspetto.
Io mi posiziono in piedi contro il muro, alle spalle di Aaron ma davanti a Luis, che non smette di fissarmi neanche un secondo. Vorrei accoltellarlo. Quasi a fine cena, dopo un'animata conversazione in spagnolo, Luis chiede ad Aaron il motivo della mia presenza, come se fossi io a fissarlo incessantemente.
Aaron risponde che mi ero comportata male e gli avevo disubbidito più volte, allora la mia punizione era di essere la sua domestica personale. Damian risponde che con tutti i soldi che possiede potrebbe trovarsi di meglio.
Luis si alza dal suo posto e si avvicina a me. Mi schiaccio contro il muro e incollo lo sguardo a terra. Con la coda dell'occhio guardo Aaron, che continua a bere e mangiare evidentemente disinteressato alla cosa. Luis, alto e magro, con capelli disordinati e barba corta, mi prende il mento e mi costringe a guardarlo negli occhi, sul suo viso compare un ghigno divertito quando vede il tatuaggio che ho sul collo. Ad alta voce dice <<Sta diventando un abitudine questa cosa del marchiarle, vero?>> quindi era un abitudine la sua? Quante altre ragazze sono state trattate come mucche a cui marchiano a fuoco un numero sul manto?
Aaron ridacchia ma non risponde.
Luis mi scruta ancora per qualche secondo in viso, per poi accarezzare con la mano libera la pelle, coperta dalla divisa, dalla spalla al fianco, palpando di sfuggita un seno, come per saggiarne la consistenza. <<Quanti anni hai?>> mi chiede.
<<17>> rispondo timidamente.
<<Hai un corpo da donna, avvenente direi>>
Lo schifo, lo eccita che io sia minorenne. La mia pupilla cattura il riflesso del lucido coltello da burro posato sul tavolo, più vicino di quanto credessi; per un attimo la mia mente sogna un bagno di sangue, ma mi manca il coraggio.
Senza mai girarsi, Aaron dice che io sono tenuta ad assecondare ogni loro richiesta, riferendosi ai due fratelli.
Luis sussurra, gli occhi illuminati da una luce che non mi piace affatto.
<< In tal caso se non ti dispiace lei sta notte viene con me>>
Mi si accappona la pelle e sgrano gli occhi, passando lo sguardo da Luis ad Aaron, spaventata.
Ad Aaron non importa, non si gira neanche quando lascio la stanza, il polso intrappolato nella presa ferrea della mano di quell'uomo.

Attraversando l'immensa villa, arriviamo in una stanza che presumo fosse la sua camera da letto. Un letto matrimoniale giace al centro dell stanza, molto grande e dall'inconsueta forma circolare, protetto da impalpabili tendine semitrasparenti, l'atmosfera dell'ambiente e i profumi che attaccano le mie narici mi fanno venire in mente l'Oriente, non so bene perché.
Accanto al letto c'è come una vasca da idromassaggio dai lisci bordi bianchi.
Chiude la porta alle nostre spalle con una chiave che poi posa su un alto armadio, dove io con i miei 1.55 di altezza non potrei arrivare neanche volando.
Mi fermo accanto alla porta guardandomi intorno, tremando, mentre lui sposta le tende del letto fermandole in modo che non diano fastidio. Si toglie la camicia rivelando un addome piatto ma non muscoloso, e si sistema sul letto, semi sdraiato con la schiena appoggiata ai cuscini. Un flashback mi riporta alla prima notte con Aaron, per un attimo mi estraneo, mentre i miei pensieri si rincorrono veloci come aliti di vento.
Lo sguardo insistente dell'uomo che ho davanti mi perfora la pelle, aspetta che io faccia qualcosa, ma resto semplicemente in piedi con le braccia incrociate, nel vano tentativo di coprirmi.
<< Sai che facendo così metti solo in risalto quella tua splendida quarta di seno? >>. Arrossisco di botto, spostando le braccia da quella posizione non sapendo bene dove metterle, odio questa situazione, vorrei scomparire.
Passano interminabili secondi di silenzio assordante e improvvisamente, facendomi sussultare, la sua voce pronuncia un unica parola, che mi fa venire le lacrime: <<spogliati>>.
Non riesco a muovermi, sono inchiodata a terra. Allora lui rincara la dose dicendo <<Spogliati per me bebìta , oppure lo dovrò fare io>>
Serro la mascella, con la bocca asciutta e guardando in un punto indefinito della stanza, mi tolgo le scarpe e mi sfilo la gonna, facendola cadere ai miei piedi. Sotto lo sguardo attento di Luis, mi tolgo lentamente anche il corpetto, sperando in qualche modo che ci ripensasse, mandandomi via. Mancano solo le mutande, ma non le tolgo. Alzo la testa verso il mio carnefice proteggendomi il seno con le mani, aspettando una sua nuova richiesta.
Un sorriso inquietante nasce sulle sue labbra mentre dice << Non sai quanto mi eccita il tuo essere così piccola e indifesa, così timida...>> si inizia a toccare da sopra i pantaloni, mi disgusta.
<< Mi sembra che manchi ancora qualcosa...>> dice, asserendo alle mie mutande. Lo prego con lo sguardo, ma non vedo nessun cambiamento nella sua espressione,così dopo qualche secondo sfilo anche quelle, facendole cadere ai miei piedi.
<< Vieni qua bebìta, vieni da papi...>>

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Ci tengo a specificare che nessuno dei personaggi della mia storia è ispirato a una persona reale.
Ricordatevi di votare e commentare!!

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