Capitolo 14

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Per ore e ore piango davanti alla porta, batto con forza e urlo a pieni polmoni, ma nessuno viene a salvarmi. Como ho potuto essere così cieca? Come ho potuto non vedere la sua vera natura?
...
Ho fame. Non so quanto tempo è passato e l'unica cosa che ho in testa è il panino che mi stavo preparando. In questa stanza non c'è letteralmente niente. Il pavimento è di assi di legno, come il resto della casa, e non ci sono elementi di arredo. Una sola finestra illumina la stanza e visto che si sta facendo buio non riesco a vedere molto. Fa freddo, perché non c'è neanche un termosifone, e nel vano tentativo di scaldarmi, avvolgo le braccia intorno alle ginocchia premendo il viso contro di esse. Un altra ora soltanto e un buio opaco e asfissiante avvolge la stanza.
Mi addormento per la stanchezza e mi sveglio per la fame. Mi alzo in piedi cadendo quasi subito per la posizione rannicchiata assunta ormai da troppe ore. La gamba ferita mi fa più male del solito e la luce proveniente da fuori mi permette di vedere che , probabilmente quando mi ha trascinato per le scale, mi ha fatto sanguinare di nuovo.
A pensarci ogni volta che ho interagito con lui ne sono uscita piena di lividi e ferite dentro che non potranno essere ricucite.
Batto sulla porta e urlo che ho fame e che devo andare in bagno. Urlo per dei buoni minuti finché non sento lo scatto della serratura della porta. Mi aspetto di vedere Elena o Zelda pensando che il principino non si scomoderebbe mai per darmi da mangiare. Invece davanti a me compare la figura torreggiante di Aaron. Mi porta quello che sembra un panino avvolto in un tovagliolo di carta, una bottiglia d'acqua e un secchio. Mi sto per buttare a prendere il panino quando lui mi spinge per terra. <<C'è un prezzo per quello>> dice. Lo guardo negli occhi e incomincio di nuovo a tremare. Si slaccia i pantaloni e io arretro fino a toccare la parete con la schiena. Lo imploro in tutti i modi, ma mi ignora totalmente. <<Svestiti>>, quelle parole mi risuonano in testa come una litania ma non riesco a muovere un muscolo. Chiude la porta mettendo la chiave sopra lo stipite, dove io non sarei mai potuta arrivare. Viene verso di me e dice <<Non voglio ripeterlo>>. Impaurita faccio come dice e per l'ennesima volta rimango nuda davanti a lui. Si avvicina a me e si sfila i pantaloni e i boxer, mi spinge contro il muro e mi bacia con urgenza e desiderio. Mi fa schifo, voglio scappare, voglio sparire. Gli mordo forte il labbro fino a sentire il sapore ferroso del sangue e lui mi respinge, allontanandosi. Mi guarda dritto negli occhi toccandosi il labbro ferito con le dita, sul suo viso compare un ghigno sorpreso e negli occhi si fa luminoso un sentimento di...eccitazione? <<Non me lo aspettavo da una sottona come te, Elizabeth...>>
Si avvicina a me e mi spinge la faccia a terra, facendomi svettare in alto i fianchi. Tenendomi la testa schiacciata contro il pavimento, entra in me, senza preliminari. L'attrito contro la sua pelle brucia come fuoco e il rumore dei nostri corpi che si scontrano mi entra in testa come un proiettile. <<Vuoi giocare? Allora giochiamo...>> Incomincia a darmi delle steccate che mi dividono in due, una ogni 2 secondi, ed ad ogni colpo dei gemiti di un dolore insopportabile escono dalla mia bocca, accompagnati dai suoi gemiti di piacere. Tra un respiro affannoso e l'altro, ogni 2 stoccate, mi chiede <<Di chi sei tu?>>. Non ho la forza di rispondere, ed in quel momento realizzo: lui può prendere tutto di me, la mia innocenza, il mio respiro, la mia sicurezza, ma l'unica cosa che non può togliermi è quello che sono. L'insieme delle esperienze che ho vissuto e delle persone che ho incontrato hanno forgiato in me una determinata personalità e indole, e questo lui non potrà mai portarmelo via. Rispondo con forza <<IO NON SONO TUA E NON LO SARÒ MAI!>> e una fiamma arde la mia anima, facendomi sentire forte. <<Tu non hai capito con chi hai a che fare ragazzina>> incomincia ad entrare in me con spinte meno profonde ma più ravvicinate tra loro e ancora qualche minuto di inferno e viene. Appena esce da me e toglie le mani dal mio corpo, mi lascio andare sul fianco con il respiro rotto dalle lacrime, la gola in fiamme.
Per qualche secondo si perde a guardare il suo seme colare dalla mia intimità distrutta, poi si alza, si pulisce l'uccello ancora duro con un fazzoletto che poi mi lancia addosso, si riveste ed esce, chiudendo la porta alle sue spalle.
Rimango così per interi minuti, fissando il muro. Questa sensazione di impotenza e ribrezzo nei confronti del mio corpo mi sta consumando, rendendomi man mano l'ombra di me stessa. Sono orgogliosa di me, però: sono resistita e gli ho dimostrato che il suo giocattolino sessuale ha un cervello e finché avrò fiato in corpo, mi opporrò alla sua violenza. È una promessa che faccio a me stessa, rendendola il faro di riferimento in mezzo a tutta questa oscurità.

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