Capitolo 37

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Cosimo

"Se non hai intenzione di darle ciò che vuole, lasciala andare" la porta si aprì e la voce di mia madre arrivò come una pugnalata al cuore "oppure smettila di fare il codardo e sii l'uomo che lei vuole" chiusi gli occhi.
Avanti Cosimo, la lasci andare o vai a riprendertela?

"Io.." provai a dire qualcosa, fissando ancora il punto in cui l'auto di Fabio era sparita da ormai dieci minuti.

"Cosa ti spaventa? Ciò che provi? È del tutto normale avere paura. Ho sposato tuo padre quando ero ancora troppo giovane per capire cosa fosse l'amore" la sua voce si addolcì "lui era così.." sospirò ".. così simile a te. Era sempre sulle sue, sempre così burbero ed impaziente. Non mostrava mai il suo vero lato, almeno non agli altri" mi fece un sorriso triste, ma sincero.
Non ricordavo una vera carezza da parte di mio padre, non lo avevo mai visto nemmeno dimostrare un minimo di affetto a mia madre. Eppure lei aveva passato la sua vita con lui. Merda, io non avevo nemmeno versato una lacrima per quel bastardo quando era morto. La maggior parte dei suoi amici, al suo funerale, non faceva altro che complimentarsi con me paraganandomi a lui nell'essere composto ed impassibile. In realtà, non me ne fregava un cazzo che fosse morto. Il solo pensiero mi fece riflettere sul fatto che, in fin dei conti, non ero così diverso da lui come volevo credere. Ora, quel pensiero, cominciava a non andarmi bene. Non volevo essere come lui. Mia madre aveva sopportato quell'uomo egoista fino alla fine, sperando che un giorno sarebbe cambiato per lei. Per me. Io non volevo questo per Alex. Per noi. Io potevo essere un uomo migliore di mio padre.
Guardai negli occhi mia madre, che sembrò capire tutto ciò che mi passava per la testa.

"Alex voleva tornare a casa sua" mi informò, e prima che potessi andare via, mi fermò prendendomi dal polso "sei già un uomo migliore di tuo padre" mi stupì per l'affermazione. Cazzo, mi leggeva davvero la mente. Le feci solo un mezzo sorriso, abbracciarla sarebbe stato troppo e quando annuì, corsi verso l'auto.

"Dov'è?" chiese Domenico mettendo subito in moto l'auto ed uscendo dal vialetto, in retromarcia.

"A casa sua" mi passai una mano tra i capelli "sbrigati" dissi disperatamente toccando la scatolina di velluto nella tasca del cappotto. Era ora che quel fottuto anello smettesse di essere portato avanti ed indietro con me. Era suo, le apparteneva e glielo avrei dato una volta per tutte.
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Bussai energicamente sulla porta, cercando di capire se dentro ci fosse qualcuno dalla finestra accanto. Merda, odiavo il traffico di Milano. Rallentava ogni cosa. E anche questa volta lo aveva fatto ed imprecare contro Domenico facendogli passare qualche semaforo rosso, non aveva funzionato più di tanto. Provai a calmare la mia agitazione, mentre suonavo il campanello ancora una volta. Forse mi aveva visto arrivare e stava facendo finta di non esserci.

"Alex, ti prego. Apri" disse a voce un po' alta per farmi sentire. Aggrottai le sopracciglia accorgendomi solo in quel momento della mancanza dell'auto di Fabio. Presi il cellulare dalla tasca ed esitai prima di premere sulla cornetta verde.

"Cosimo" la sua voce sembrava diversa, stanca, triste.

"Dove siete?" chiesi tornando in auto.

"Non posso dirtelo" sospirò facendomi fare una smorfia.

"Fabio, per favore. Non vuoi morire oggi, vero?" strinsi la mascella.

"Aeroporto" sussurrò. Il mio cuore cominciò a battere troppo velocemente.

"Cosa?" chiesi incredulo "cosa fate in aeroporto?" feci un cenno a Domenico, che capì ripartendo con l'auto.

Hidden - Guè PequenoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora