Capitolo 21

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Alex

Nei primi giorni, l'unica cosa che feci, fu piangere disperatamente non credendo a niente di ciò che era successo. Non che volessi davvero quel bambino, ma come si dice? Solo quando una cosa ti viene portata via, capisci l'importanza che aveva. Non volevo ammetterlo molto a me stessa, ma io già gli avevo dato un volto con il colore dei miei occhi e le labbra di lui. Avevo già pensato ai pianti che mi avrebbero tenuta sveglia, ai sorrisi teneri che mi avrebbe fatto.
Ma lui non la pensava come me, era un problema e non sarebbe stato più di quello.
Piansi ancora di più quanto capì che lui non sarebbe tornato da me, che non mi avrebbe stretta a sè facendomi sentire meno sola e che il sentimento che provava per me non era forte come credevo. Non volevo crederci, non volevo accettarlo. Dopo tutto quello che avevamo fatto, dopo tutto quello che aveva fatto per me.
Mi disperai così tanto da non mangiare quasi più, se lo facevo era solo perché qualcuno intorno a me mi costringeva. Smisi di parlare, di uscire di casa. Casa che poi non era nemmeno la mia. Mi accorsi di essere da Fabio quando rigirandomi nel letto la notte, vidi delle foto sul comò che lo ritraevano da bambino. Qualcuno si era preso la briga di portare tutta la mia roba qui, anche se non avevo nemmeno la forza di cambiarmi. Elodie era stata parecchio in giro per casa, aveva anche cercato di tirarmi su con qualche battuta o qualche notizia generale. Avevo capito che lei e Fabio stessero insieme quando lui le disse in silenzio di evitare manifestazioni amorose davanti a me. Non ebbi nemmeno la forza di ridere per quella frase. Forse non avevo nemmeno più la forza di piangere, perché quando pensavo al bambino o a lui, non ritrovavo più il cuscino bagnato. Pensavo a tutto e scuotevo la testa, negando fino alla fine ciò che stava succedendo.

Pensando e pensando ancora, mi resi conto di quanto fossi arrabbiata. Così arrabbiata da prendere qualsiasi cosa fosse sul comò e gettarla ovunque contro le pareti, facendo un disastro assurdo. Fabio era entrato di corsa in stanza, cercando di fermarmi ma appena mi aveva toccata avevo cominciato ad urlare. Urlare di rabbia. Perché? Perché avevo perso il bambino? Perché lui non aveva fatto nemmeno una chiamata? Cosa avevo fatto di male per meritarmi tutto quello? E pensavo a quanto fosse codardo da parte sua, mentre sentivo le nocche della mano spaccarsi mentre le sbattevano contro il muro in modo furioso e Fabio cercava di tenermi ferma e confortarmi con parole che nemmeno mi arrivavano per via dei battiti del cuore troppo accelerati che sentivo nelle orecchie.
Quando mangiavo, posavo le forchette con troppa forza facendo rumore. Quando vagavo da una stanza all'altra, sbattevo troppo la porta facendo rumore.
Quando qualcuno mi parlava, lo fulminavo con lo sguardo grugnendo come una bestia.
Ero solo arrabbiata. Con lui, con il mondo, con la vita.

La notte, non riuscendo a dormire, prendevo il mio cellulare e guardavo la vita degli altri scorrere normalmente. Osservando qualcuno realizzare progetti, mi fermai a riflettere che avrei potuto superare questo momento ed essere più forte e che sicuramente non avrei mai più rifatto lo stesso errore ancora.
Provai a pensare ad alcuni modi per poter andare avanti, per riprendere il controllo della mia vita. Sentivo di non essere più me stessa, che stavo perdendo la voglia di proseguire nelle cose che per me valevano. Quindi cominciai a valutare quali fossero le persone e le cose su cui potevo contare. Ricordai chi fossi prima di incontrare lui e decisi che sarei diventata anche meglio. Così mi ricomposi piano piano, anche l'aiuto di Fabio fu utile per tornare al top sul campo lavorativo.

Stava andando tutto bene, fin quando tra una pausa di lavoro e l'altra, mi sbucò davanti una foto di lui in compagnia di qualcuna. Il mio cuore fece una capriola, chiusi l'applicazione e per tutta la giornata pensai a quanto forse mi stavo solo illudendo, forse non esisteva una vera via d'uscita. Il giorno dopo, non ebbi la forza di alzarmi dal letto sentendomi troppo depressa e decidendo che la mia vita fosse uno schifo. Per tutta quell'intera giornata a letto mi soffermai a pensare a tutto ciò che non avrei più condiviso con lui, amplificandomi automaticamente il livello di sofferenza portandomi ad uno stato di depressione assurda. Non riuscì a concentrarmi sul lavoro, smisi di dormire e persi nuovamente l'appetito.

Hidden - Guè PequenoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora