Capitolo 14: Il momento della verità

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Ci vuole una scusa, rapidamente, ora.
-Sì. Si chiama Francesco.
Dico.
-E c'è qualche problema con questo Francesco?-
-No no.-
Dice Alessia.
-E allora cosa dovete dire ad Alessandra?-
Oh, quanto vorrei che mia madre si impicciasse di meno…
-Niente, solo che sta facendo…Un ottimo lavoro.-
Dico
-Sì…Volevamo andarla a trovare e l'abbiamo detto alle altre, e loro hanno detto di dirle anche di non preoccuparsi perché con lui ci troviamo bene.-
Aggiunge Alessia.
-Sai, ci andiamo noi perché abitiamo abbastanza vicino a lei…Volevo dirtelo ma poi mi sono scordata con questa storia della caviglia.-
-Capisco. Beh, quando starai meglio, vedremo com'è la situazione dei tuoi voti e da lì vedrò se vale la pena che tu perda un altro pomeriggio in giro o no…-
Divento buia in viso, ma dico comunque di sì.
Appena mia madre esce, Alessia aspetta qualche secondo per assicurarsi che davvero non sia più a portata d’orecchio e poi fa un sospiro di sollievo dicendomi:
-C’è mancato un pelo! Comunque non preoccuparti, ti aiuto io con i compiti. Certo che con tua mamma non serve leggere tra le righe o dare interpretazioni…È così diretta. La mia da le punizioni per indovinelli…-
Sorrido, nonostante sia ancora abbastanza arrabbiata.
-Grazie.-
Le dico.
-Oh, di niente. Comunque, a fare merenda ci andiamo davvero o era una finta?-
-No, davvero…Ma tu pensi sempre al cibo?-
Alessia si prende il mento tra le dita.
-Uhm, sì, quando sono in ansia sì. O quando ho appena avuto una scarica di adrenalina. Quando mi sono rotta il braccio ho mangiato mezzo pacco di biscotti durante il tragitto fino al pronto soccorso.-
-Ti sei rotta il braccio?-
-Davvero è questa la parte che ti ha colpito?-
-No, ma non me l’hai mai raccontato!-
-Te lo racconterò dopo. Ora andiamo a mangiare?-
-Arrivo, arrivo….-
Dopo aver intinto mezzo pacco di fette biscottate nel tè, torniamo in camera mia .
-Dai, racconta. Siamo due ferite di guerra?-
-Beh, oddio…Comunque, ora ti racconto. Quando avevo otto anni e abitavo a Fiumicino, c'era un grande parco a qualche minuto da casa mia. Un po' più in là rispetto a scivoli e altalene varie c'erano un sacco di alberi abbastanza grandi che facevano un sacco d'ombra. Noi bambini li usavamo per nasconderci o come “tana" quando giocavamo a nascondino. Un giorno sono arrivati alcuni ragazzini più grandi, di una diecina d’anni, che hanno sfidato me e la mia amica Erica ad arrampicarci su uno degli alberi. Quello in particolare aveva in effetti un sacco di appigli, ma noi non ci fidavamo e abbiamo detto di no. Allora loro hanno cominciato a prenderci in giro cantilenando: femminucce, femminucce... E credo che poi la canzone continuasse e…Degenerasse, diciamo così. In ogni caso io a quel punto mi sono arrabbiata e ho iniziato ad arrampicarmi.-
-Come ho fatto io con Stefano!-
-Esatto, ma noi eravamo bambini, anche se non li giustifica del tutto….Fatto sta che quelli continuavano a ridere, ma più io salivo e più iniziavano a stare zitti. A un certo punto uno mi ha detto che potevo anche scendere, che avevano capito il concetto e che non eravamo delle femminucce. Io ho sorriso e ho iniziato la discesa, ma a metà del tragitto un ramo si è spezzato sotto il mio piede e sono caduta a terra. I ragazzini e Erica hanno urlato, io ancora più forte di loro. Sono arrivate una ventina di mamme, tra cui la mia, che stava già per darmi una pizza davanti a tutto il parco quando si è accorta che il mio braccio era praticamente al contrario. Perciò mi ha preso in braccio e mi ha messo in macchina guidando come una matta fino al pronto soccorso. Io, intanto, dietro, mangiavo i biscotti che lei aveva portato per fare merenda e contemporaneamente piagnucolavo. Poi ricordo che un dottore mi ha rimesso dritto il braccio come se fosse quello di un burattino di legno con le articolazioni che si muovono, ha usato la famosa e micidiale arma della siringa, poi mi ha messo il gesso e mi ha lasciata là. Dopo un po' sono arrivati e mi hanno sgridato per essermi arrampicata. Io ho cercato di spiegare loro il perché, ma non hanno voluto sentire ragioni…Il giorno dopo, però, mi hanno portato un lecca lecca e mamma mi ha truccato. Quindi, sì, diciamo che magari era un modo per scusarsi-
-Wow. Girl power sin da piccola quindi. Bella storia…E sì, eri tipo un buco senza fondo da bambina. Comunque a me nessuno ha regalato un lecca lecca…-
-Ahahahaha!-
-Io non scherzo.-
-Se hai coraggio, chiedilo a tua mamma.-
-No, già sta incavolata…Compramelo tu!!-
-Va bene bimba…Panna e fragola?-
-No, Coca Cola!-
Rispondo io facendo la vocina. Poi scoppiamo tutte e due a ridere, perché l'insieme è davvero assurdo, e perché io sono felice che insieme ad Alessia torno sempre di buon umore. L’ho detto e lo ripeto: ha un effetto positivo su di me.
-Grazie.-
Dico a un tratto facendomi quasi seria.
-Per cosa?-
-Per farmi sempre ridere e sentire meglio.-
Alessia è colta di sorpresa.
-Oh…Prego.-
Risponde. Poi non ci diciamo più niente. Ma non serve, credo.
Il giorno dopo a scuola arriva il momento della verità. Mi accompagna mia mamma e quando arrivo fuori ci sono i miei compagni che mi fissano. Daniele deve averli informati, perché appena scendo Marco dice:
-Bentornata! Come stai?-
E Martina si offre di darmi una mano a portare lo zaino. Io le dico grazie ma rifiuto, e a Marco rispondo che sto bene. A un certo punto, un po' più in là rispetto agli altri, in un angolino tra il muro e il cancello, vedo Stefano. Tutto solo. Lui che di solito all'uscita parla sempre con i suoi amici/scagnozzi. Fa quasi pena. Ma la fasciatura sotto i jeans mi ricorda che non devo andare oltre quel “quasi".
Arriva Daniele.
-Ciao Irene, bentornata.-
-Ciao, grazie.-
-Come stai?-
-Bene, dai. Oggi allora facciamo vedere il filmato alla Parici?-
La Parici è la nostra coordinatrice. È a lei che ho intenzione di dirlo, non al prof. di motoria.
Daniele vede che vado dritta al sodo e capisce che sono determinata, quindi risponde di sì. Anche gli altri sono d'accordo.
-Non è una cosa infantile, è la cosa che si merita. Lo hanno capito anche i suoi amici che è uno scemo, infatti non gli parlano più.-
Dice.
A quel punto suona la campanella e un fiume di studenti si riversa nell'atrio per poi dirigersi lungo i corridoi. A destra, poi sempre dritto, ed ecco la 1B, la mia classe. Per fortuna non ci sono scale da fare. Entro e mi siedo subito al banco. Abbiamo la Parici in prima ora. È una prof. molto giovane e gentile, sempre pronta ad ascoltarti, a risolvere i problemi, e a rispiegarti le cose. Nonostante questo però sa farsi rispettare e mette sempre i voti giusti, anche se sono bassi. Però se vede l'impegno, magari al massimo te lo arrotonda per eccesso. Insomma, è il tipo di prof. che tutti vorrebbero. Entra sorridendo e dice:
-Buenos dìas chicos!-
Già. Insegna spagnolo.
-Buenos dìas!-
Rispondiamo noi.
-Bentornata Irene!-
Mi dice. Allora anche i prof. sanno che mi sono fatta male. Beh, presto saprà anche COME mi sono fatta male.
-Grazie.-
Rispondo.
-Tutto a posto?-
-Sì.-
Avevo programmato di dover rispondere a questa domanda per circa un centinaio di volte durante la giornata.
Subito dopo inizia la lezione e la prof. fa qualche domanda sulle cose che erano da studiare per oggi, quelle che stavo ripassando con Alessia. Io alzo la mano. Rispondo bene. Lei sorride col suo solito modo dolce e mi dice:
-Bueno!-
-Gracias-
Rispondo. E sorrido anche io. Mi piaceva un sacco lo spagnolo alle medie. Penso che lo rivaluterò.
Alla fine della lezione, arriva il momento della verità, del coraggio di dire la propria, e anche se so che detto così sembra sciocco per me è davvero importante e ho il cuore a mille. Come andrà? Guardo per un attimo Stefano, seduto da solo all'ultimo banco. Quello che stava vicino a lui ha cambiato posto. È come Francesco, ma è in miniatura. Anzi, no, in scala. Rispetto alla grandezza di quello che io posso fare per fermarlo. È nelle mie possibilità fare qualcosa, stavolta. Lui non è un adulto. È una cosa proporzionata. A un tratto mi accorgo che i miei pensieri sembrano una lezione di matematica, solo senza la voglia di spararsi in testa all'istante.
Visto che non posso alzarmi, chiamo la professoressa, e la faccio venire al mio banco.
-Cosa c'è Irene?-
Chiede.
-Vorrei parlarle di una cosa…Che è successa con un compagno di classe. È importante.-
-D'accordo, dimmi.-
In quel momento si avvicina anche Daniele, con il telefono in mano.
-È coinvolto anche lui?-
Chiede la prof.
-Si…Più o meno.-
Racconto in breve cosa è successo il giorno della gara e Daniele conferma tutto, poi mostra il fermo immagine del video alla Parici, che resta senza parole.
-Non l' ho detto prima perché pensavo fosse sciocco lamentarsi. Poi però ho cambiato idea. Ma ho preferito dirlo a lei che al prof. di motoria anche perché è la prima prof. che abbiamo il lunedì.-
L'ultima parte me la sono inventata adesso. La verità è che volevo farla vedere a lei perché è quella più simpatica e, soprattutto, più comprensiva. Ma ovviamente questo è davvero patetico da dire, o tuttalpiù abbastanza infantile, quindi.
-Non preoccuparti, lo riferirò io stessa al professore. Questa cosa è abbastanza grave. Soprattutto considerando le conseguenze. E io sono davvero scioccata. Daniele, intanto puoi andare a chiamare Stefano?-
Lui si dirige subito verso il suo banco, e gli dice qualcosa che da dove sono seduta non sento. Stefano replica. Daniele insiste, ma Stefano si innervosisce e non si alza.
A quel punto Daniele fa il gesto di dare una botta sul banco. Ovviamente è solo una finta, ma Stefano si copre d'istinto le orecchie con le mani. Quando le scosta, sembra intimorito e si decide a seguite Daniele.
La Parici è arrabbiata come non l'ho mai vista, e Stefano è preoccupato, lo capisce da sé che ha fatto una stupidaggine assurda, non chiede nemmeno il motivo di quella sfuriata. A un certo punto abbassa gli occhi. La prof. lo rimanda al posto e per un attimo lui mi guarda. E i suoi occhi sono carichi d'odio.
Decido di ignorare Stefano per il resto della giornata, e cerco di concentrarmi nel seguire le lezioni. A un certo punto, durante l'ora di inglese, chiedo di andare in bagno e mi alzo zoppicando un po’.
-Ce la fai?-
Chiede la prof.
Io sorrido e dico sì, ma in realtà vorrei quasi picchiarla, perché c'è un limite tra l'essere gentili e l'essere esagerati, e lei l'ha superato. Andiamo, non sono mica una vecchietta col bastone, in fondo, no?
Mentre mi sto lavando le mani e sto per uscire dal bagno, sull'uscio appare qualcuno che non vorrei vedere. Stefano mi guarda con disprezzo e dice:
-Sei una bastarda.-
Mi scompongo appena un po'.
-Ottima sintesi. Cosa vuoi?-
-Perché hai dovuto fare la spia? Me lo spieghi? Dovevi per forza correre dalla mamma per farti difendere? Ora mi sospenderanno.-
-Fanno bene. Sei stato tu a fare il deficiente, non io. Non ho scelto io di fare la mossa geniale.-
-È inutile parlare con te.-
Replica lui. E tanto per concludere, mi manda a quel paese. Poi se ne va.
-Hai un nemico in più.-
Mi dico. Perché in effetti non siamo mai stati amici, ma nemmeno nemici. Ora invece so che quel tipo farà di tutto per darmi fastidio. Beh, non che mi interessi più di tanto, alla fine. Ho altro a cui pensare.
-Che voleva Stefano nel bagno?-
Mi chiede Martina all'uscita. Ormai ci ritroviamo spesso a parlare mentre facciamo la strada verso la fermata, finché poi lei non prosegue a piedi fino a casa sua, che è qualche  via più in là di quella della scuola.
-Come fai a sapere che è venuto da me nel bagno?-
-Quando ha chiesto di andarci subito dopo di te, ho pensato non volesse solo fare la pipì.-
-Hai pensato bene.-
-E che voleva?-
Guardo in avanti, verso la cima della salita. Cerco di non perdere la calma. Martina si accorge che qualcosa non va.
-Tutto bene?-
-Sì. È che non mi va di parlare di lui. Cioè, non che mi interessi nulla di quello che pensa o che dice, ma mi fa venire i nervi.-
-Oh, ho capito. Scusa se te l'ho chiesto, allora.-
-No problem, tranquilla.-
Scherzo io, più calma.
-Mi ha chiamata bastarda.-
Dico poi.
-Beh, il bastardo è lui.-
Risponde lei senza esitare.
Mi blocco di colpo e la fisso stupita.
-Che c'è? La nerd della classe non può dire bastarda?-
Percepisco una nota di fastidio. E in effetti sarebbe giustificata. Perché lei non potrebbe dire quella parola? Voglio dire, non è così terribile, e poi anche se fosse può scappare a tutti. Ricordo di quando alle medie volevano obbligarmi a dire parolacce.
-Cosa fa rima con palazzo Dossi?-
Dicevano dopo la lezione di italiano in cui avevamo parlato di poesie.
-Ti do un indizio…È una rima baciata!-
-Le sai fare, al prof. le hai dette tute!-
Dicevano. E io li superavo, muta. Erano davvero odiabili.
-Irene? Ma mi senti?-
Martina mi scuote dai mie pensieri.
-Uh? Eh, ah, sì sì, puoi dirlo. Davvero. Scusa. Basta col… Pregiudizio della bambolina per bene.-
Farfuglio.
Martina sorride.
-Tranquilla, ormai ci sono abituata. Ma grazie per aver capito cosa intendessi dire. Ora io vado, ci vediamo domani. Ci prepariamo per la verifica della settimana prossima?-
-Va bene. Grazie. Ci vediamo domani.-
-A domani-
Conclude lei, e si avvia verso casa sua. Io mi dirigo alla fermata e aspetto l'auto. Quando arrivo a casa, pranzo e dico ad Alessia che per questo pomeriggio devo studiare latino perché voglio fare bella figura con Martina.
Lei insiste perché vuole sapere di Stefano, ma io non le rispondo e chiudo la porta a chiave. Verso le sei esco dalla camera per fare merenda. Apro il frigo aspettandomi di trovarci un budino al cioccolato, ma non trovo niente. Mi fiondo in camera di Alessia e spalanco la porta senza bussare.
-Ehi!-
Protesta subito lei.
-E se fossi stata in mutande?-
Chiede.
-Oh, ma piantala, tu non bussi mai.-
Le dico.
-Hai mangiato tu l'ultimo budino?-
-Sì!-
-Perché?! Era mio!-
-Beh, non c'era mica scritto sopra “Irene"!-
-Sì, ma tu ne hai mangiati tre, mia madre due, e io ieri a cena vi avevo chiesto se mi lasciavate l'ultimo per assaggiarlo!-
-Ma di che deve sapere? È budino al cioccolato!-
-O ma va a…-
Alessia mi interrompe a metà dell'insulto che sto per lanciarle.
-Ehi!-
Dice.
-Non esageriamo! È solo un budino! Scusa, comunque. La prossima volta te lo lascio.-
Mi rilasso.
-Grazie. Non volevo esagerare, ma sei una specie di aspirapolvere…-
-Oh, grazie!-
Dice lei ironica. E poi aggiunge.
-Ma cambiando argomento: mi racconti di Stefano?-
Siccome non voglio parlarne, le dico di no e faccio per uscire dalla camera, ma lei mi prende per un braccio.
-Dove pensi di andare? Tu DEVI dirmelo. Ti ho sopportata mentre mi parlavi di lui e ora mi devi dire come è andata a finire!-
-Oh, ma sta zitta, “mangia-budini”!-
Ribatto, liberandomi dalla stretta e chiudendomi nuovamente a chiave in camera.
Alessia prova ad aprire la porta, e quando si accorge che non può, inizia a bussare ripetutamente supplicando:
-E dai Irene apri questa dannata porta! Sono curiosa! Ti prego!!-
-Smettila di assillarmi, non voglio parlarne adesso!-
Dico, e dopo un po' lei si arrende e se ne va sbuffando.
Continuo a studiare latino fino all'ora di cena e finisco giusto in tempo per mettermi a tavola. Più tardi, quando abbiamo finito, stringo i pugni sul fianco come faccio sempre quando devo fare qualcosa di difficile o spiacevole e busso alla porta della camera di Alessia.
-Avanti.-
-Stefano mi ha chiamata bastarda.-
Dico tutto d’un fiato senza ancora essere quasi nemmeno entrata.
-Che??Ahia!!-
Alessia si sta facendo la piastra e per lo stupore si è bruciata la fronte.
-Ti vado a prendere il ghiaccio?-
-Si, magari…-
Appena torno e glielo porgo, se lo mette sulla tempia, ma poi continua a toglierlo e riappoggiarlo all'infinito.
-Tienicelo però!-
Le dico.
-Pare facile: è freddo!-
-Ma no? È ghiaccio.-
-Lascia stare me e parlami di te. Cosa ha detto quel verme?-
-Verme?-
-Sì, lo è. Daiii, non girarci intorno! Che ha detto? Suu, che mi sta venendo l'ansia.-
E così, mentre il ghiaccio si scioglie formando goccioline sulla fronte di Alessia, le racconto i fatti del giorno.
Lei è così stupita che lascia cadere il pacchetto semi-scongelato.
-Così bagni tutta la coperta, genio!-
Le dico affrettandomi a riprenderlo.
-Oh, ma che importa! Ci sono cose più importanti a cui pensare ora!-
Dice. E poi aggiunge:
-Quindi lo sospenderanno?-
-Così ha detto lui.-
-Beh, me lo auguro.-
Alessia ha ricominciato a piastrare alcune ciocche.
Dopo un breve silenzio, dice:
-Ti ricordi quando ti avevo detto che avevi sbagliato a sfidarlo?-
-Certo.-
-Beh, la penso ancora così. Se lui non ti avesse sgambettato, e avesse vinto, quella in torto saresti stata tu. Cioè, non tanto in torto quanto lo è lui ora, ma comunque avresti dovuto ammettere che avevi sbagliato a sfidarlo.-
In effetti, non ci avevo mai riflettuto granché.
-Beh, hai ragione. Almeno da questo punto di vista, possiamo dire che mi è andata bene.-
Poi aggiungo:
-Scusa se prima mi sono barricata in camera, ma non mi andava molto di parlare.-
-Oh, tranquilla, ormai sono abituata ai tuoi spettacolini.-
Questo commento mi fa storcere un po' il naso. Non voglio fare la parte della bambina capricciosa, ma ormai il danno è fatto, quindi.
-Hai fatto così anche il giorno che ti ho conosciuta.-
Mi ricorda lei.
È vero. Quel giorno non volevo assolutamente avere niente a che fare con lei, ed ero scappata in camera.
-È passato più di un mese.-
Le dico.
-Già. La nostra alleanza ha fatto passi avanti.-
Risponde. Non l'ha chiamata “amicizia", ma “alleanza". È bello che rispetti il mio punto di vista. E che non le dia fastidio. Almeno spero.
-Davvero non ti da fastidio chiamarla alleanza?-
Decido di chiederle.
-Perché? È una bella cosa essere alleati.-
-Sì, ma sembra come se non volessi che siano amiche…-
-No, tu lo vuoi, ma non riesci ad ammetterlo.-
Dice.
Dovrei rispondere ma non lo faccio. E il perché ormai lo sanno anche i muri, ma io lo dirò di nuovo: Alessia ha ragione.
Lei non commenta il mio silenzio, anzi, si unisce. Dopo un po' che stiamo lì senza parlare, mi dice:
-Cosa c'è stasera in tv?-
Non so se ridere o urlare, davvero, ma alla fine le rispondo e basta, e questa assurda giornata finisce con me e lei sul divano a guardare ragazzi che si baciano nei corridoi della scuola. Che poi lo sanno tutti che queste cose a noi stessi non capiteranno mai, ma ce le guardiamo per sognare almeno un po'.

C i a o!
Ecco a voi il capitolo 14!🤗
Fatemi sapere cosa ne pensate, e ci vediamo la prossima settimana!!
16_writer 💙

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