Il patto

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Il giorno dopo il ballo vengo svegliata da delle urla, mi rigiro più volte nel letto prima di mettermi seduta e sbuffare. Chi diamine è che urla alle prime ore del mattino? Porto le mie mani sugli occhi strofinandoli e sbadiglio mentre mi guardo intorno, sono ancora in questa stanza, non sono nè a casa mia nè nel mio tempo. Sospiro ma sento altre grida che mi riportano alla relatà. Ma questa voce? Mamma? Che ha da urlare di prima mattina? Scendo dal letto, indosso le pantofole e la vestaglia e esco di fretta dalla stanza. Scendo le scale dirigendomi al piano di sotto, nello stesso tempo scende anche mia cugina. Non sta rimproverando le domestiche, anche perché ieri è andata alla grande, sarebbe stato strano. Io ed Elisabeth ci guardiamo prima di fare qualche passo avanti e scorgere i nostri padri seduti a tavola con lei, aspettano noi e la colazione probabilmente.

"Non puoi permettere che continuino a restare qui! Sono stufa di vederli in giro e di aver paura!" Dice lei.

"Come devo dirti che le tue parole non cambieranno i fatti? Non posso permettermelo."

Lei scuote la testa. "Il porto adesso è tuo, COMPLETAMENTE TUO! Puoi ogni cosa."

"Sorella, ascolta, il contratto ci da sicurezza." Risponde mio zio.

"Il contratto fa si che quei barbari risieda-" si blocca notandoci. "Buongiorno, care." Si ricompone.

"Buongiorno madre, padre." Sorrido. "Zio Julius."

"Buongiorno padre, zio Albert e zia Kery." Dice mia cugina.

"Che sta succedendo?" Domando vedendoli ora completamente ammutoliti.

"Nulla, sedetevi." Risponde mia madre.

"Non trattarle come bambine, non lo sono." Dice mio padre mentre noi ci sediamo.

"Non voglio che loro sappiano!"

"Invece sapranno." Guarda mio zio per vedere se anche lui è d'accordo.

"Julius, digli qualcosa!" Sbotta mia madre.

"Tuo marito ha ragione, Kery. Le ragazze non sono più delle bambine, non possiamo proteggerle da tutto è giusto che sappiano e che si tutelino."

"Padre ma cosa succede? Ci state preoccupando." Dice Elisabeth poggiando la mano su quella dello zio Julius.

Mio padre prende un profondo respiro prima di iniziare a parlare. "La nave attraccata al porto il giorno dell'inaugurazione è una nave pirata. I pirati sono uomini della peggior specie, bevono, saccheggiano, derubano e fanno del male a giovani donne. Nessuno di loro si è mai mostrato migliore, sono uomini di mare a cui non va data alcuna fiducia..." mia madre sta per fermarlo ma lui alza il tono di voce "...tranne se vige un contratto."

"Un contratto? Quale contratto?" Domando.

"Anni fa, il Capitano della nave Jeremia Manto Scuro, nome dovuto alla strana pelliccia che ha sempre sulle spalle, venne nella nostra città alla ricerca di riparo. Cercava un posto sicuro in cui attraccare la sua nave senza che le guardie trovassero lui e la sua ciurma, il popolo era contrario ma avevano paura e timore. Il vecchio proprietario del porto decise di stipulare un contratto insieme al Capitano. Nessun pirata avrebbe mai derubato ed oltraggiato in alcun modo questa città e in cambio avrebbero avuto sicurezza e riparo. A Jeremia e ai suoi uomini andò più che bene, firmarono il contratto e una zona della città venne data a loro. Ogni qual volta che loro vengono qui risiedono in quel luogo restando nei pressi di una piccola locanda fin quando non decidono di ripartire."

Appena mio padre finisce di parlare, mia madre riprende parola. "Ma ora puoi annullare quel contratto."

"Ma madre... se questi uomini hanno sempre mantenuto la parola data perché andar ora a rompere questa pace?"

Vivere in un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora