17- FREGATURA

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Sento il verso degli uccellini fuori dalla finestra dello studio del direttore: non sapevo che vicino alla prigione ci fosse un piccolo boschetto. Mi piacerebbe molto fare una passeggiata sotto quei grossi alberi e godermi l'aria fresca. C'è un bel sole, ma anche vento. Sicuramente avrei indossato il mio cappotto beige preferito, quello lungo che mi arriva fino alle ginocchia e che tiene molto caldo. Me lo aveva regalato mia madre per il mio diciannovesimo compleanno.

«Ti piace la vista?» mi chiede Marinoni, scrivendo distrattamente su un foglio. Il rumore della penna è stranamente rilassante. Probabilmente sta scrivendo la mia confessione riguardo il giro di droga di cui Levi è il capo e l'omicidio di Josè Morello escogitato da lui pur di avermi. Sono sicuro che c'era anche qualcos'altro, ma per ora penso che questo basti per accontentare il direttore.

«Molto» rispondo, sospirando appagato: sento di essermi tolto un peso. Chissà cosa gli faranno. Stranamente non riesco a sentirmi in colpa per aver fatto la spia. «Ora che le ho detto tutto quello che sapevo su Ackerman, posso chiederle io qualcosa?» decido di andare dritto al punto e vedo un leggero sorriso beffardo dipingersi sul volto dell'uomo davanti a me.

«Prego, dimmi» il suo tono assume una nota di divertimento e lì per lì non so cosa pensare. Ho come un brutto presentimento, ma lo scaccio subito.

«Vorrei una riduzione della pena per buona condotta» chiedo, mentre l'uomo annuisce un po' e scrive sul foglio. Sto per sorridere, ma quando lo vedo scoppiare a ridere mentre si tiene la testa, spalanco gli occhi non capendo la sua reazione. Poi smette.

«Aaah, scusami. È stato più forte di me» si scusa falsamente, asciugandosi le lacrime.

«Mi scusi?» alzo un sopracciglio e lui si mette composto, diventando incredibilmente serio e con di nuovo quel sorriso beffardo in volto.

«Ti ho detto che avrei ascoltato la tua richiesta, non che l'avrei assecondata» dopo aver pronunciato queste parole, sento il mondo crollarmi addosso e un senso di nausea invadente si fa spazio dentro di me. Premo una mano sulle mie labbra e per poco non scoppio a piangere e ad urlare. «Guardia, portalo in cella» ordina ad un secondino. In studio entra Raimondi che mi obbliga ad alzarmi. Io lo faccio e lo seguo fino a fuori, ignorando Marinoni che mi dice: «Ricorda Eren, le spie non sono viste di buon occhio in prigione. Mi auguro che non siano troppo rudi»

Mi ha fregato...

Cammino a fianco della guardia e osservo il pavimento: mi sto avvicinando alla morte? Una volta oltrepassato le sbarre automatiche che portano alle celle, inalerò il mio ultimo respiro?

«Ehi Lucio» questa voce... è Zeke! Entrambi ci giriamo verso il biondo. Sembra preoccupato e di fretta. «Penso io a lui. Tu occupati della rissa in biblioteca» mi afferra il braccio, ma l'altra guardia non sembra essere intenzionata a lasciarmi. Il biondo sembra avere un tic nervoso all'occhio e cerca di nasconderlo dietro un finto sorriso. «Andiamo, Lucio...» mi tira verso di sé. «Io non riuscirò mai a separare due armadi come Carbone e Bianchi, tu invece si» ancora non mi molla e Zeke sbuffa infastidito.

«Andando in biblioteca, ne approfitto per portare lui in cella» dice calmo Raimondi, guardando fisso mio fratello. Purtroppo, quest'ultimo è un osso duro e cerca di nuovo di strattonarmi.

«Faresti meglio ad andare senza perdere tempo con questo detenuto» la mano del biondo si posa sulla mia spalla e improvvisamente sento una forte morsa su di essa. Mi manca il respiro.

«Jaeger è un detenuto che ha appena fatto la spia e ha rivelato informazioni che era meglio non far conoscere al direttore» Raimondi mi lancia uno sguardo di disprezzo e poi torna a concentrarsi sul collega, orma più serio che mai. «Perciò, se tu non riesci a controllare Carbone e Bianchi, come puoi proteggere questo ragazzo per tutto il tragitto da qui alla sua cella?» domanda meschino e Zeke fa sbattere la lingua sul palato.

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