4- FRATELLASTRI

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Zeke mi trascina fino alla sala cinema e apre velocemente la porta, facendo scattare la serratura, e mi spinge dentro. Una volta entrati entrambi, la richiude a chiave.

È una stanza abbastanza grande con una TV, di almeno trenta pollici credo, attaccata al muro. Le sedie sono impilate una sopra l'altra ai lati. Sento l'uomo dietro di me sbuffare e tirare un pugno contro una di esse, provocando un forte tonfo quando caddero. Mi giro di scatto e me lo ritrovo a pochi centimetri da me. Afferra il colletto della mia camicia e mi alza di qualche centimetro, facendomi mettere in punta di piedi. Ha lo sguardo pieno di rabbia. Non l'ho mai visto così.

«Porca puttana, Eren!» quasi urla, facendomi prendere paura. «Perché cazzo sei qui dentro?» è furioso, ma non posso non essere d'accordo con lui. Anch'io lo sarei se sapessi che lui è in prigione, anche se ho appena scoperto che effettivamente è così, solo non da detenuto.

Deglutisco a fatica e lui mi lascia andare. Si massaggia le tempie e si porta indietro i suoi lunghi capelli, legandoli in un piccolo codino alto. Dopodiché si sposta e prende due sedie di quelle che erano cadute, mettendole una di fronte all'altra. Mi fa segno di accomodarmi ed io lo faccio senza fiatare. Prende una mia mano e comincia ad accarezzarla, studiandomi per bene il viso con i suoi grandi occhi verdi. Sia la forma che il colore sono identici a quelli di nostro padre. «Il direttore mi ha detto di averti riconosciuto e sono venuto a cercarti» mi spiega, facendo piccoli cerchi sulla mia pelle con il pollice. «Però non mi sono fatto dire il motivo del tuo arrivo. Puoi spiegarmelo te?»

Abbasso lo sguardo, non riuscendo a guardarlo in faccia dalla vergogna. Parlo sussurrando, come se avessi paura di confessare ciò che ho fatto ad una delle persone più importanti della mia vita, anche se effettivamente ce l'ho. «James è morto perché...» mi bloccò per un momento, concedendosi un lungo sospiro. «L'ho ucciso... pugnalandolo al petto» a quanto pare non riuscirò a smettere di parlarne. È il mio primo giorno e l'ho già confidato a tre persone.

Zeke sbuffa e si gratta la nuca, nervoso. Abbiamo lo stesso vizio fin da quando eravamo bambini. Ormai sono circa tre anni che non ci vediamo: da quando io mi sono sposato, lui si è trasferito in Germania con la sua famiglia, dato che sua madre aveva sviluppato un tumore al cervello. Da quel momento, non ho più avuto sue notizie, ma visto che è qui, a quanto pare è tornato senza farmelo sapere. Chissà se mamma e papà lo sanno.

«Non mi è mai piaciuto. Se non lo avessi ucciso tu, ci avrei pensato io» ridiamo entrambi e l'atmosfera sembra farsi più leggera. So che non è il caso di scherzare su un argomento così delicato, ma Zeke è fatto così. Per fortuna, aggiungerei. «Perché l'hai fatto?» mi chiede dopo un minuto passato in silenzio.

«Perché-» vengo subito interrotto da una voce robotica e femminile proveniente da quello che sembra un super e funzionale walkie talkie attaccato alla cintura di mio fratello. Lui sbuffa quando il collega gli chiede il motivo del perché si trova nella sala cinema con un detenuto, ma Zeke taglia corto dicendo che dopo gli spiegherà tutto.

Probabilmente ci hanno visto dalla piccola telecamera che si trova in uno degli angoli della stanza, puntata proprio verso di noi. Mi fa cenno di continuare ed io annuisco, mettendomi a gambe incrociate per stare più comodo. «Perché mi ha tradito, Zeke. L'ho beccato quattro volte in due settimane, ma a sicuramente non saranno state né le prime e nemmeno le ultime» mi sento come un peso sul cuore e le lacrime minacciano di uscire. Ma perché dovrei piangere per una persona come quella?

Il biondo sbuffa, si alza e tira un calcio alla sedia. Ora è sicuramente su tutte le furie. «Cazzo Eren, potevi chiamarmi o lasciarlo o parlarne con lui. Tutto fuorché ucciderlo, anche se, ripeto, l'avrei fatto io al posto tuo» si gratta la nuca, tirandosi leggermente i capelli e facendo uscire un bel quantitativo di aria dalla bocca, susseguita da un grugnito.

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