1- MACCHIE DI SANGUE

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Lo odio. Non riesco a sopportare la sua voce, le sue grida, i suoi lamenti, il suo pianto disperato mentre cerca inutilmente di chiamare aiuto, di attirare l'attenzione di qualcuno. A lui piace essere al centro del mondo, di tutto e di tutti. A lui piace che la gente lo complimenti, gli dica quanto sia bello e quanto sia bravo nel suo lavoro. Lui ama tutto questo, ma non me. Non mi ama e mi ha tradito con metà del personale che ha assunto nel suo meraviglioso hotel.

Due settimane fa, un Sabato, l'ho trovato a letto con la moglie di un nostro caro amico che gli fa da segretaria, nove giorni fa con la tizia che gli porta il caffè, l'altro ieri con uno della reception e stanotte, dato che non tornava a casa, sono andato a cercarlo direttamente e l'ho trovato nel suo ufficio con il ragazzo appena arrivato. Un certo Emanuele, capelli neri corti e le lentiggini. Lui va pazzo per le lentiggini.

Stavano scopando tranquillamente sulla sua scrivania. Il giovane se ne stava, in preda al piacere, sdraiato sul computer portatile chiuso con una mano sulla bocca per coprire i gemiti, mentre mio marito, il mio fottutissimo marito, affondava in lui come quando facevamo l'amore noi due: con dolcezza e passione allo stesso tempo.

E adesso eccolo qui, in preda al dolore che gli ho provocato pugnalandolo con un coltello da cucina una volta tornati a casa. Purtroppo sono sempre stato una frana con la mira, per questo gli ho colpito il fianco. Sta facendo pressione sul profondo taglio con una tovaglia, strisciando il più lontano possibile da me.

Piange. Lo odio. Mi fa sentire forte davanti alla sua debolezza e questa cosa stranamente non mi piace. Volevo che per lo meno mi tenesse testa. Sono stanco di doverlo sentire. Lo odio e lo voglio morto. Morirà stasera ed io, senza rimorso, scapperò da qualche parte. Potrei andare a casa di mia madre per un paio di giorni, giusto il tempo per organizzarmi e poi sparirò, come se non fossi mai esistito.

Gli infilzo la posata sul fianco sinistro, questa volta, e lui urla di nuovo. Mi offende dandomi dello psicopatico, dello stronzo, dell'assassino, eppure non riesco a restarci male. Posso fermarmi quando voglio, il problema è che ormai il danno è fatto e a questo punto preferisco che inali il suo ultimo respiro piuttosto che venga curato.

«Fermo!» grida, calciandomi via debolmente. Vorrei mettermi a ridere per il suo goffo modo di fare, ma preferisco mantenere l'espressione seria. Sofferente, tenta di disarmarmi però io sono più veloce e alzo il braccio, mandando in fallimento il suo stupido piano per salvarsi. Mi guarda terrorizzato ed io ricambio lo sguardo con odio e delusione. Non bastavo per lui? Perché ha preferito altre persone a suo marito? Mi arriva un altro colpo: questa volta mi ha tirato un pugno sullo zigomo. Come minimo uscirà il livido, ma niente di più.

Beh, dopotutto me lo sono meritato. Lo sto uccidendo, quindi potrò dargli qualche soddisfazione. Con le sue ultime forze afferra il telefono e digita il numero della polizia, chiudendosi in bagno una volta riuscito a mettersi in piedi. Non vuole mollare nonostante sapesse che ormai per lui è finita. Lo sento parlare a fatica, singhiozzando. Mi vengono i brividi di eccitazione. Dopo varie spinte, riesco a sfondare la porta, la quale crolla su di lui, dandogli il colpo di grazia per via delle schegge che si infilzano sulle braccia e sul collo.

Ora è morto. Definitivamente. Non dovrò più sopportare le sue lamentele, i suoi tradimenti, le sue scuse e le sue prese in giro. Diceva sempre che ero troppo geloso e che dovevo imparare a lasciar passare. Eravamo sposati da quattro anni: io ne avevo diciannove e lui ventidue. Ci amavamo, ma a quanto pare in queste ultime settimane ha preferito scoparsi chiunque e non me. Dovevamo adottare un figlio. Me lo aveva promesso, così che diventassimo una famiglia vera e propria.

Mi inginocchio davanti al suo corpo per metà sovrastato dalla porta e osservo i suoi occhi spenti e fissi nel vuoto. Senza anima, senza sentimenti. Un po' come quando era vivo, con l'unica differenza che ora non respira più.

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