2- TUTA AZZURRA

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Il carcere non è come Gardaland o Disneyland. Lì è pieno di persone che sono pronte ad ucciderti se per sbaglio gli pesti il piede o se per caso sbatti contro di loro. Nessuno ti rispetta se non metti paura o mostri debolezza, ma come si fa ad essere forti in un posto del genere? Non sono mai stato coraggioso; tra me e James, era lui ad uccidere gli insetti, ad entrare per primo in casa, ad andare ovunque volesse con la luce spenta al buio e a chiamare il fattorino delle pizze perché io avevo paura di fare una figuraccia, essendo molto impacciato al telefono, soprattutto con chi non conoscevo.

Il bus prende una buca con la ruota ed io sobbalzo, finendo per sbaglio addosso ad un ragazzo che è seduto accanto a me. Lui si gira di scatto ed io ingoio rumorosamente. I suoi occhi verdi mi squadrano e il suo labbro viene afferrato dai denti. Fa un mezzo sorriso e annuisce come soddisfatto di ciò che vede. Avrà una trentina d'anni, credo, e i suoi capelli mossi e corti sono tinti di un rosso fuoco dal quale si vede la ricrescita nera. Ha un fisico asciutto, ma non sembra avere molti muscoli.

«Ehi, io non volevo fare nulla prima del nostro arrivo al carcere, ma se insisti-» lo blocco scuotendo la testa e spostandomi fino a schiacciarmi contro il finestrino blindato. Lui continua a sorridere, poi appoggia la testa sul sedile davanti e mi guarda. «Prima volta?» mi chiede con una nota di divertimento.

Lo guardo confuso per poi annuire, capendo che allude al carcere. In bus con noi ci sono altri sei uomini: cinque che avranno dai trenta ai cinquant'anni e uno che sembra sulla settantina. Che avrà fatto? Picchiato un capo cantiere? Il tizio al mio fianco continua a fissarmi. Mi squadra tutto il corpo e mi studia per bene, mordendosi di nuovo il labbro e grattandosi il leggerissimo strato di barba.

«Come ti chiami, occhi belli?» mi chiede, giocando con la catenina delle manette. Guardo fuori, preferendo gli alberi al suo sguardo indagatore.

«Eren» rispondo secco, ma cercando di sembrare autoritario, nonostante la situazione mi mettesse una leggera ansia. Anzi, solo ansia.

«Io sono Josè Morello» mi porge la mano, ma non gliela stringo subito. Esitante mi avvicino un po' a lui, ma subito dopo averlo fatto mi ritraggo di nuovo per via del suo strano odore che mi pizzica il naso. Com'è che non me ne sono accorto prima? Voglio cambiare posto. Lui non sembra capire e fa spallucce, questa volta alzandosi e andando a molestare qualche altro futuro detenuto. Mancheranno quindici minuti all'arrivo in carcere dove passerò i prossimi tredici anni e due mesi, se non mi uccidono prima.

Una cosa che ho imparato dalle serie TV basate sulle prigioni è che per essere qualcuno devi diventare essenziale per qualcun altro, come uno spaccciatpre per i tossici, anche se preferirei evitare di cacciarmi ancora nei guai, o essere temuto. So che quelle sono storielle, ma mi sono bastate per farmi un'idea e, conoscendomi, potrei essere sottomesso già dal primo giorno, ovvero oggi. La prima cosa che devo trovare è un gruppo: pericoloso è meglio, così ho più possibilità di uscirne vivo, ma lì non è come a scuola che dici "per favore" e sei dentro. Potrebbero farmi fare una sottospecie di rito di passaggio, come minacciare qualcuno o ucciderlo o tagliarmi un pollice.

Sento una gocciolina di sudore scendere velocemente lungo la mia guancia e mi affretto ad asciugarla. Lancio un'occhiata a Josè e noto che mi sta guardando intensamente: è una cosa bella o brutta? Magari posso unirmi a lui, sembra molto autoritario. Mi siedo più composto e gli sorrido. Lui ricambia subito il gesto, mostrando tutti i denti davanti: sono bianchi e perfetti. Gli faccio segno di avvicinarsi e lui arriva quasi correndo, buttandosi sul posto a fianco a me.

«Dimmi, occhi belli» quasi si sdraia addosso a me, senza smettere di guardarmi e sorridere. Ho attirato la sua attenzione.

«Prima mi hai chiesto se questa fosse la mia prima volta. Per te non è lo stesso, dico bene?» gli chiedo, cercando di non far trapelare l'ansia dalla mia voce.

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