3- PROTEZIONE

1K 65 64
                                    

«Wow, tu e i guai andate d'accordo» mi prende in giro Josè mentre raggiungiamo il gruppo. «Sai chi era quello?» mi domanda, guardandosi le spalle. I suoi amici sono ancora dietro di noi e non hanno mai smesso di seguirci, come se fossero le sue guardie del corpo. Scuoto la testa e lui continua. «Quello è Ackerman. È dentro perché ha picchiato la moglie e ora spaccia droga. Tieniti alla larga da lui. Io oggi ti ho difeso, ma ho rischiato davvero grosso» tira un sospiro di sollievo, per poi darmi una piccola spallata amichevole. «Ti senti bene? Vuoi che dopo venga a farti un po' di coccole?» mi fa l'occhiolino ed io sorrido, scuotendo la testa.

«Sto bene, non è niente» rispondo, fermandomi quando la guardia fa il mio nome. Siamo al secondo piano. Mi affaccio dalla ringhiera e vedo Ackerman e il suo gruppetto che stanno parlando tra di loro. Sembra infastidito.

«Cella 35, Eren Jaeger» dice, indicandomi con un cenno della capo. Distolgo lo sguardo dal corvino e annuisco al secondino che mi fissa annoiato.

Entro e vedo che c'è solo un letto a castello. Il posto sopra è occupato da qualcuno, ma non lo vedo in faccia, essendo questa nascosta da un librone enorme dalla copertina anonima e di colore marrone. L'uomo in divisa batte il manganello sulle sbarre in acciaio e due occhi azzurri si fissano nei suoi e poi nei miei. «Guarda qui, Arlert. Hai compagnia» il giovane lettore è biondo e molto magro. Mi guarda attentamente per poi sorridermi, scendendo dal suo piccolo posticino felice e indicando il letto sotto.

«Tu dormi qui. Io odio stare sotto» mi dice gentilmente. O mi prende in giro e sta fingendo di essere simpatico e gentile per fare buona impressione davanti alla guardia o esistono persone di buon animo in questo posto.

«A me non sembra che stare sotto ti dia fastidio. O almeno così dice Kirsthein» urla Josè alle mie spalle, facendo ridere il gruppetto. «Jaeger è mio, Arlert. Fa girare la voce» aggiunge infine, prima di essere trascinato via dal secondino. Il biondo ride scuotendo la testa. Si sposta una ciocca bionda dietro l'orecchio e noto che è arrossito.

«Vuoi una mano per fare il letto?» mi chiede, incrociando le braccia. Sembra timido. Sarà qui da poco anche lui, forse.

«No, stai tranquillo. Posso farcela. Grazie lo stesso» ricambio il suo sorriso e inizio col mettere il lenzuolo mentre il mio compagno di cella si siede sulla sedia posta davanti ad una minuscola scrivania. Vedo molti fogli sopra di essa, alcuni anche accartocciati fino a formare una palla. In alto c'è una finestrella, troppo piccola perché ci passi un essere umano, e a fianco ad essa tre piccole fotografie. Penso siano del biondino.

«Come mai sei dentro? Rapina in banca? Furto d'auto? Hai sequestrato qualcuno per soldi?» domanda il ragazzo, tornando a sedersi sul suo letto.

«Non mi va di parlarne» taglio corto, ma non sembra soddisfatto della mia risposta.

Mi mette una mano sulla testa e la accarezza, guardando il muro in modo teatrale. «Tranquillo. Questo è un posto sicuro» sussurra. Alzo gli occhi al cielo e mi guardo intorno, uscendo anche dalla cella, assicurandomi che non ci sia nessuno ad origliare.

«Ho... ho ucciso mio marito» sussurro a mia volta, mettendo le coperte e la federa al cuscino.

L'altro si irrigidisce e il suo sguardo si perde nel vuoto. Finito di farmi il letto sospiro e mi stiracchio, come se avessi fatto uno sforzo eccessivo. Con la coda dell'occhio vedo passare vari uomini, alcuni dei quali si fermano sull'uscio della porta per guardarmi e studiarmi. Sia vecchi che giovani. Sarà perché sono nuovo e vogliono accertarsi che non sia una minaccia.

O almeno lo spero.

«Quindi sei un assassino?» domanda Arlert a voce bassa, come se avesse il timore che qualcuno ci sentisse. Io annuisco, ormai devo abituarmi a questo nomignolo, perché dopotutto è quello che sono.

PrisonersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora