6- LIBRI E SANGUE

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La mattina peggiore di tutta la mia vita. Mi sveglio di soprassalto, sbattendo la testa sulla branda sopra la mia, per via di un allarme. Inizialmente pensavo fosse a causa di un possibile incendio o di un'evasione in corso, ma da come Armin è sceso dal letto stiracchiandosi e grattandosi la testa come se nulla fosse, ho capito che si trattava della loro fottuta sveglia.

Mi massaggio il punto dolorante, sentendo le fitte al petto e alla pancia dovute alle botte che ieri mi sono provocato con il sapone dentro il calzino. Stringo i denti per mettermi seduto, ma sono subito costretto a dovermi risdraiare. Il biondo si è messo a fissarmi, ma non leggo né pena né schifo nei suoi occhi. Ricambio lo sguardo e lui è il primo a distoglierlo, abbassandolo subito dopo.

Si siede accanto a me. «Sei appena arrivato... e già ti metti nei guai» dice, incrociando le gambe. Io rido leggermente, come per dargli ragione. Lui continua, questa volta con più leggerezza nella voce precedentemente tesa. Forse si aspettava che gli urlassi contro, ma io non sono così. «È la quarta volta che Jean fa spostare un detenuto da qui, ma solitamente ci mette una o due settimane a farlo. Non un giorno» mi guarda sorridendo. «Sei il primo con il quale ho avuto un buon rapporto fin da quando è arrivato. Posso parlargli e vedere di risolvere la cosa»

Scuoto la testa, alzando una mano per non farlo continuare. «Non voglio problemi con tuo moroso. E comunque penso di sapere chi sarà il mio prossimo compagno di cella» dico, decidendomi finalmente di alzarmi e dirigermi verso l'uscita. È ora di colazione, eppure non ho tutta questa gran fame. Dev'essere stata la cena di ieri a riempirmi.

Armin esce con me. Dal suo modo di fare, ovvero da come mi guarda esitante e da come mi cammina vicino, capisco che vuole sapere da me con chi dormirò per i prossimi tredici anni.

Mi fermo non appena noto Ackerman ai piedi delle scale. Braccia conserte e sguardo fisso nel mio. Sbatte un piede per terra, come se fosse impaziente o... infastidito. Sarà per la presenza del mio amico? Quest'ultimo sembra aver capito, dato che scappa. Ovviamente senza prima alzarmi il pollice e aver sussurrato un "ben fatto" molto fiero.

Il corvino mi porge una mano, ma io non la prendo e scendo gli ultimi tre gradini rimasti, camminando avanti a lui. Lo sento ridere profondamente e seguirmi. Anche il suo gruppo di amici ci sta alle calcagna, il che è alquanto fastidioso, anche se mi fanno sentire un VIP. Arrivati in mensa, faccio per prendere un vassoio ma la sua mano mi blocca ogni movimento afferrandomi il polso.

«Non qui» sussurra soltanto, guidandomi verso una meta a me sconosciuta. Arriviamo ad una porta situata poco più in là dei banconi dove distribuiscono da mangiare. Lui bussa uno strano motivetto, dopodiché essa viene aperta e noi entriamo, questa volta senza nessun altro. All'interno ci sono due uomini forzuti che fanno come da guardie del corpo. Li riconosco subito e quando giro lo sguardo incontro quello furioso di Jean.

È seduto in uno dei tavolini della mensa, solo che posto al centro di questa specie di stanza riservata ai pezzi grossi della prigione. Per un attimo mi sento nuovamente un VIP, mentre mi incammino verso una delle sedie libere. Di Armin intravedo il caschetto biondo spuntare da una piccola finestrella di un'altra porta, la quale deduco serva ad entrare definitivamente in cucina.

Lo sguardo del cavallo sembra essersi fissato su di me, infatti noto che ogni mio movimento è controllato dai suoi occhi vigili color oro scuro. Sembra infastidito dalla mia presenza; lo si nota da come sbatte il piede per terra e da come gioca con una delle posate di plastica dura. Io decido di non guardarlo nemmeno, sedendomi e aspettando che Ackerman faccia lo stesso, ma quest'ultimo sembra essersi volatilizzato, perché quando mi giro scopro che nè lui nè i suoi uomini sono presenti nella stanza. Che siano usciti? Ma quando?

«Cerchi il tuo fidanzato, Jaeger?» domandò Jean, accarezzandosi il mento lentamente con l'indice. Lo guardo storto e scuoto la testa. Ackerman non è nessuno se non il mio protettore e già detta così mi fa venire i brividi. Onestamente non saprei come chiamarlo se non "tizio che vuole proteggermi e del quale non conosco nulla se non il cognome", ma sarebbe troppo lungo. Jean invece potrei chiamarlo tranquillamente "l'idiota" o "il cavallo". Gli si addicono entrambi i nomignoli.

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