Capitolo 37: Erebo.

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[Capitolo 37: Erebo.]

Arriva.

Si sentiva dire dentro Cassandra, non comprendeva quella parola, era come se la udisse e non udisse contemporaneamente. Una parte di sé si sentiva agitata, voleva mandarle lo stomaco in subbuglio e provocarle la nausea che scaturiva dall'ansia, ma l'altra parte voleva solo tranquillizzarsi.

Desiderava godersi quel momento con le sue guide, mostrare i suoi progressi e lasciarsi scaldare dai sentimenti di Selene, eppure lei era lì, a sussurrarle che qualcuno stava arrivando.

Qualcuno stava facendo strisciare una lunga ascia per terra, la sentiva, eppure la foresta era vuota, c'erano solo loro e le creature animalesche, lo sapeva.

Arriva.

Iniziò a tremare inconsapevolmente, come se avesse freddo, ma ignorò quella sensazione, non voleva farsi influenzare dall'improvvisa agitazione.

Era abituata a sentirsi in quel modo per puro caso, si trattava di un terribile vizio sviluppatosi ai tempi delle superiori. A causa dell'ansia che aveva vissuto, si trovava spesso a tremare e ad avere la nausea senza un'apparente motivo.

Eppure quel momento era strano.

Sentì dolore alla testa.

Arriva.

Urlò lei, quella voce, fu in quel momento che un violento vento smosse gli alberi facendo scattare in piedi Amir, il quale a sua volta aveva percepito percuotersi nel suo corpo l'urlo della natura.

Le nuvole si fecero più scure in cielo, attirando l'attenzione di Wendy e diversi animali raggiunsero Peter, come se volessero essere nascosti.

Selene si guardò attorno e si avvicinò a Cassandra, quasi volesse proteggerla.

E' qui.

I ragazzi attorno a lei stavano parlando, comunicando fra di loro con espressioni preoccupati, ma alle orecchie della figlia della Terra ogni suono era ovattato, non capiva nulla.

Era in uno stato confusionale.

Voleva solo godersi il momento, si ripeteva.

E' davanti a te.

Bastò un battito di ciglia e dinnanzi alla ragazza c'era un uomo con una ampia veste nera e un alto cappello a punta da cui uscivano lunghi e lisci capelli di un bianco pallido.

Tra le mani dalle dita lunghe e le unghie nere appuntite, era stretta un'ascia alta poco più di Cassandra. La lunghezza della lama era spaventosa, avrebbe potuto fare a metà qualsiasi cosa si trovasse nel raggio di diversi metri.

«Cassandra», disse, scoprendo una voce dal tono leggermente acuto. «Sei tornata», proseguì.

La ragazza voleva vederne il viso, ma il cappello calato nascondeva gli occhi e i folti capelli non permettevano di guardarne i lineamenti.

«Questo è quello che vorrei dire», affermò con voce cantilenante. Abbassò l'ascia, talmente vicina a Cassandra da aprire una piccola ferita sulla sua fronte.

«Erebo», disse Selene. Non aveva un tono minaccioso, anzi sembrò rivolgersi a lui con rispetto, ma la rabbia trapelò comunque.

Fu in quell'istante che Cassandra notò come erano tutti inginocchiati, con la testa china al suolo.

«Mia piccola Selene, non devi inchinarti», le disse mettendo l'ascia al di sotto del suo mento per sollevarle il viso. Poi la costrinse a mettersi in piedi.

L'Isola Che Non C'èDove le storie prendono vita. Scoprilo ora