Capitolo 34: Le tue colpe e i miei peccati.

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[Capitolo 34: Le tue colpe e i miei peccati.]


Cassandra si diresse subito verso le scale, ma per abitudine, prima di salire al piano superiore, gettò un'occhiata al salone.
Artemide era seduta sulla poltrona, con le gambe distese su un tavolino occupato da bottiglie di birra e di vino.

«Cassandra», la richiamò con tono biascicante e la ragazza sussultò presa di sorpresa.

«Cassandra!», urlò colma di rabbia e la ragazza capì che quella sarebbe stata l'ennesima serata da scordare.

A capo chino, raggiunse l'entrata del salone.
«Dimmi», le rispose in un sussurro.

Cassandra era terrorizzata dalla madre che aveva davanti, il suo corpo non smetteva di tremare e non riusciva in alcun modo ad alzare la testa.
Gli occhi le pizzicavano e sapeva che nel momento in cui avesse visto Artemide negli occhi, avrebbe avuto un altro crollo emotivo.
«Parla ad alta voce!», gridò la donna, voltandosi di scatto verso sua figlia.

«Dimmi», ripeté Cassandra alzando il tono della voce, lasciando che esprimesse la sua paura e quell'attanagliante desiderio di fuggire il più presto possibile.
«Dove cazzo eri fino a quest'ora?», ruggì mettendosi in piedi.
«Dove vai ogni dannata volta per ogni dannato giorno?», esclamò avanzando passi barcollanti verso la figlia.

«Io ero da Greta», trovò il coraggio di sussurrare la ragazza.
«Alza la voce!», urlò Artemide sbattendo la bottiglia di birra contro il suolo.
Cassandra sussultò di paura e lo fece in modo troppo rumoroso, così tanto che la madre la raggiunse più in fretta, costringendola ad indietreggiare fino a scontrarsi contro il muro.

Artemide sbatté le proprie mani contro la parete, intrappolando la figlia che fu obbligata a fissarla negli occhi.

Il corpo non smetteva di tremare difronte all'espressione colma d'ira della madre, sembrava in preda ad una strana pazzia che trafisse Cassandra fin nei meandri più profondi di se stessa.

«Prima tuo padre mi abbandona, poi tu mi abbandoni. Tutti mi abbandonate, cosa vi ho fatto di male? Perché? Perché? Spiegamelo, figlia ingrata!», le gridò addosso, finendo per sputacchiarle sul volto.

Cassandra si ritrovò innondata dall'odore nauseabondo dell'alcol e travolta dalle parole di Artemide, sarebbe crollata da lì a poco, se lo sentiva e non c'era nessuno a salvarla.

Abbassò gli occhi, poi li spostò di sfuggita sulla porta pregando che suo padre entrasse a salvarla e infine li riportò sul suolo.
«Guardami quando ti parlo», esclamò afferrandole il viso con violenza, stringendola più che poteva.

Cassandra si sentiva soffocare, sentiva dolore ovunque, voleva scappare. L'unica cosa a cui pensava era scappare. Sua madre lo stava facendo di nuovo, la stava torturando, portando al limite dell'esasperazione e le ricordava quanto non avrebbe mai raggiunto la felicità.

«Lasciami», ebbe il coraggio di dire, ma Artemide non la assecondò, anzi fece più pressione.
«Ingrata, ingrata, ingrata! Non saresti dovuta nascere! Sia dannato il giorno in cui ti ho dato vita»
«Lasciami»
«Sei uno dei miei più grandi rancori»
«Lasciami!», urlò Cassandra dando uno spintone alla madre.

La ragazza faticava a respirare, voleva solo scappare, eppure rimase stordita.
La madre era seduta per terra, con una espressione estramemente scioccata e colma di disprezzo sul viso e improvvisamente si ricordò di quel giorno.

Quasi il passato e il presente si fondessero, Artemide sollevò lentamente il viso per fissare Cassandra.
E la fissò con una profondità tale, che poteva capire cosa voleva dirle anche senza parole.

L'Isola Che Non C'èDove le storie prendono vita. Scoprilo ora