Capitolo 38: Peccare.

11 1 0
                                    

[Capitolo 38: Peccare.]

L'accaduto di Erebo venne ignorato, come se un essere del genere non si fosse mai materializzato. Molte cose vennero ignorate nei giorni successivi: lo spegnimento nel volto di Cassandra, il distaccamento fra lei e le guide, l'avvicinamento quasi morboso tra lei e Selene.

Vennero ignorate le ustioni sulla pelle pallida di Selene e le ferite non curate su Cassandra. Fecero tutti finta di niente poiché nessuno sapeva cosa dire e cosa fare, semplicemente attendevano un momento giusto, che pareva non arrivare mai.

Cassandra faceva più spesso visita alla tomba di Riri, fumando una sigaretta, una canna, raccontandole della magia, concentrandosi su ciò che lei riteneva bello e felice. Poi però tornava a casa con il terrore che Artemide la attendesse e che il padre fosse nuovamente assente.

Quel giorno disse a Riri che avrebbe dovuto avviare un duello con Amir.
«Ho avuto una cotta per lui dal primo momento che l'ho visto. E' gentile, dolce, forse lui ti avrebbe potuta salvare. Ha degli occhi gialli e lo so, lo so che suona inquietante! Ma ti giuro Riri che sono bellissimi, ti danno pace e fiducia. Avresti dovuto conoscerlo. Lui comanda la natura, sapessi quante rose mi ha sempre generato. Però penso che non mi abbia mai ricambiata. A dire il vero non penso di averlo mai amato, pensavo solo a occhi grigi e come avrebbero reagito a vedermi con lui. Ma sono sicura, anzi sicurissima che lui ti avrebbe salvata e amata molto meglio di me.
Se solo avessi aspettato un po'».

Appoggiata alla lapide, terminò la sigaretta che bruciò subito per non usurpare quel luogo sacro.

Rimase nella stessa posizione per minuti, fissando il cielo sempre più scuro a non pensare più a nulla, se non al desiderio di sparire.

Trovò la sua vita insignificante, insoddisfacente e infelice, si chiese cosa ci faceva ancora lì. Avrebbe voluto scappare, ma per quanto lontana potesse andare, nulla sarebbe cambiato, aveva la sua testa, la coscienza, i pensieri. Avrebbe voluto sparire per sempre. Non ne poteva più.

Appoggiò i pugni sugli occhi e pianse, mentre si imponeva di calmarsi.
«Non è successo nulla», si ripeteva in un sussurro, ma più pronunciava quella frase più la forza schiacciante al petto la spingeva verso un pianto disperato.

Dunque si mise in piedi e decise di allungare il percorso per tornare a casa, così con passo lento ricordava tutte le sensazione che le dava il varcare la porta dell'abitazione.

Il calore famigliare sembrava tentare di soffocarla ogni volta, insieme al tipico odore della sua casa. Percepiva un'atmosfera pressante che andava ad annullare qualsiasi cosa positiva.

Per questo, quando arrivò, rimase seduta sugli scalini, prendendosi più tempo possibile per prepararsi psicologicamente, giocò con la magia, dandole tutte le forme che le passavano per la testa.

Dal palmo della mano usciva una fiamma alta che le illuminava il volto durante la scura notte. Lei la avvicinò sempre di più al viso, catturata dalla densità dei colori e al centro di esse riuscì a scorgere delle figure.

Cassandra non ricordò cosa vide tra le fiamme, ma quando si spensero ebbe la sensazione di essere stata lontana a lungo dagli scalini su cui era seduta, provò una disagiante sensazione di estraniamento dalla realtà in cui era.

Confusa, entrò a casa, dove le risate del padre erano talmente rumorose da calmarla.

Si diresse verso la propria stanza, dove si sdraiò sul letto, attaccò le cuffie al cellulare e fece partire la sua playlist.

Per qualche strana ragione, pensò che quello era il momento giusto per andare a dormire e non svegliarsi più.

La fretta con cui quel pensiero la colse, fu la stessa con la quale una raffica di vento fece sbattere le finestre aperte della casa. Poi ci fu il suono del campanello.

L'Isola Che Non C'èDove le storie prendono vita. Scoprilo ora