Capitolo 10. Tre sigarette, due lune.

34 4 0
                                    

Tornò al suo mondo, alla sua casa, dove la madre la accolse con uno sguardo accusatorio. Si erano fatte le otto e Cassandra non aveva risposto a nessuna delle undici chiamate di Artemide.

La ragazza, ancora ferma al portone, fissò la madre intensamente negli occhi, non capì il perché, ma in quel momento provò la necessità di trovare un motivo valido per un qualcosa che non riusciva a comprendere.

Lei osservò la madre, la cui rabbia scemò, trasformandosi in preoccupazione e la preoccupazione in sensi di colpa. Cassandra immergeva comunque gli occhi suoi, così gelidi di colore e calorosi di emozioni, in quelli di Artemide, perché doveva capire che cosa le tenesse legate. Era una preoccupazione che aveva percepito appena visto il cellulare colmo di chiamate, notare tutta quella paura della madre aveva fatto scattare la necessità di prove per capire. Si era posta tanti interrogativi, riguardante cosa avesse portato il loro rapporto a essere così complicato e la risposta la conosceva, tuttavia faceva fatica ad ammetterselo.

Era tutto così difficile per Cassandra, per questo voleva solo fermare il suo cuore, perché batteva troppo per un corpo gracile come il suo.

Con tutti questi pensieri rimase a cercare in Artemide una scintilla che le facesse capire che non era tutto perso. Più cercava, più si chiedeva quale fosse il senso di ciò che stava facendo, ma quando notò che pure la madre si era rabbuiata, capì di aver esagerato. Infondo lei non si meritava di essere osservata così, infondo covava per Cassandra l'amore materno.

I sensi di colpa animarono il suo cuore e subito cercò una soluzione, doveva dimostrare che non si era nuovamente persa in se stessa, ma il bisogno di dimostrare che non era quella di una volta, diede vita a ricordi spiacevoli.

L'ennesimo circolo vizioso di cui non sapeva come liberarsi.

Tuttavia, lei sapeva di dover prima calmare Artemide, dunque sorrise e fece un passo in avanti, tornò, metaforicamente, tra le sue braccia, perché era pur sempre sua madre, fu come se si chiudesse in prigione da sola.
«Scusa mamma per il ritardo», disse a quel punto. «Ero in biblioteca a leggere e mi sono fatta prendere un po' troppo la mano», affermò dandole un bacio sulla fronte e Artemide si tranquillizzò, le sue viscere si sciolsero dai nodi in cui si intrecciarono.
«Devi smetterla di fare così», le rispose con un flebile sorriso. Cassandra si morse fortemente il labbro e annuì. «Scusa mamma».

Si concluse il loro discorso, la ragazza andò nella sua stanza e la madre in cucina.

Cassandra prese una sigaretta, Artemide riempì una tazza con del vino rosso.

La figlia aspirò intensamente il fumo, la madre si versò un altro bicchiere.

La ragazza fece scivolare una lacrima sulla sigaretta, la donna la fece scivolare nel terzo bicchiere di vino.

Odiavano quando tutte le emozioni provate, che fossero felicità o rabbia, venissero spazzate via dalla malinconia e ognuna tentava di nasconderlo a modo suo. Cassandra si nascondeva dalla madre e dal padre, Artemide si nascondeva dalla figlia e dal marito.
La realtà è che tutti sapevano di tutto, solo che nessuno aveva il coraggio di fare un passo avanti.
«È più semplice se ognuno si crogiola nel suo dolore e fa finta di non vedere, per far finta che vada tutto bene», aveva detto una volta Cassandra a una sua amica con cui aveva deciso di aprirsi.

Nel suo mondo lei aveva alcuni amici, non si sentivano e non si vedevano sempre, ma questo era colpa sua, che sceglieva sempre di isolarsi, perché riteneva che fosse la soluzione più semplice e più indolore.

Proprio in quel momento, mentre ascoltava la musica e fumava la seconda sigaretta, persa tra pensieri che si rifacevano sia all'Isola che alla madre, le arrivò una chiamata da una certa Greta.

L'Isola Che Non C'èDove le storie prendono vita. Scoprilo ora