Capitolo 46: Casa.

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[Capitolo 46: Casa.]



Cassandra aveva l'abitudine di sdraiarsi ovunque e fissare qualsiasi cosa fosse al di sopra di lei. 
Di solito metteva tranquille canzoni in sottofondo e il sonno faceva a gara con i pensieri.

L'abitudine l'aveva presa all'età di quindici anni, quando incapace di gestire le situazioni famigliari e le proprie emozioni, imparò a permettersi quel momento in cui si sdraiava per dar sfogo alle proprie emozioni. 

Per dar sfogo alla tristezza. 

Era una ragazza silenziosa, introversa, le sue parole prendevano vita solo nei momenti in cui beveva o si drogava. Per il resto, durante la sobrietà lasciava che il suo mondo rimanesse dentro di lei. Le pareva troppo caotico, troppo triste per condividerlo, soprattutto perché l'aveva già condiviso con una persona che l'aveva lasciata. La morte di Riri le aveva lasciato segni indelebili. Sfregava quelle ferite con una ferocia tale che era più semplice tagliare quei frammenti piuttosto che rimuoverli. 

Lei il coraggio di tagliare via quella parte di vita non l'ebbe mai.

Quando provava a comunicare come stava, le sue difficoltà, il suo mondo; si sentiva di tradire quella che era stata una sorella e allora il silenzio prendeva il sopravvento. Non aveva diritto di condividere le emozioni che le accomunavano. 

Cassandra era una ragazza semplice, pensava. Non aveva emozioni o pensieri complessi, anche se faticava a condividerli. Era solamente malinconica, per questo dormiva tanto. 

Una volta, al quarto anno delle superiori, un compagno le chiese semplicemente come si sentisse. Lei, con una naturalezza degna di nota, rispose che era stanca, tenendo un sorriso felice sul viso. Quel compagno la scrutò per pochi secondi, analizzò con attenzione la sua figura.

Le disse che la stanchezza era la scusa dei depressi. 

Cassandra cercò di non dargli peso, lei non sapeva se realmente soffrisse di depressione, era certa solo della sua tristezza. 

Eppure, quelle parole girarono per anni tra i suoi pensieri. 

Nei momenti in cui si sdraiava si chiedeva spesso quando avesse avuto inizio quel circolo vizioso. Scavava sempre più dietro. Probabilmente la causa di tutto ciò furono l'alcolismo e la depressione di Artemide, che l'avevano accompagnata fin da piccola, creando sgomento, insicurezze e un miscuglio di sentimenti che a tratti capiva e a tratti ignorava. 

Cassandra aveva delle determinate abitudini ai tempi delle scuole superiori. 

Faceva il tratto dalla fermata dell'autobus alla propria abitazione tentando di svuotare la testa da qualsiasi problema, perché sapeva che quelli sarebbero iniziati una volta varcata la porta di casa. 

Davanti al portone sospirava quasi sempre, sentiva il peso del mondo poggiarsi sulle sue spalle. 

Varcava la soglia, si guardava attorno, entrava nel salone e cercava Artemide. Quando non la trovava, sentiva una delicata agitazione al petto. Saliva allora le scale, passo dopo passo tentava di mantenere un ritmo controllato, eppure aveva l'impressione di dover far di fretta, prima che fosse troppo tardi. 

Senza accorgersene, camminava velocemente. Spalancava la porta della stanza dei genitori e se non la trovava di nuovo, quell'agitazione aumentava. Con più rapidità raggiungeva la propria camera, sperando di trovarla distesa sul letto. E se non la trovava neanche lì, l'agitazione diventava prorompente. Allora accelerava i passi verso il bagno: se non c'era neanche lì si lasciava sfuggire un sospiro e se invece c'era, la assillava di domande e racconti casuali.

L'Isola Che Non C'èDove le storie prendono vita. Scoprilo ora