Capitolo 7. Particolarità.

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[Capitolo 7: Particolarità.]

Cassandra era una ragazza particolare e, nonostante ne fosse consapevole, non se lo era mai ammessa, perché la sua particolarità non le piaceva, le faceva paura.
Era una ragazza speciale e lo si capiva semplicemente osservandole il viso o capelli, come stringeva le mani, come camminava. Ed era quello che Selene aveva fatto.
Dopo la battaglia, si erano spostati in una sorta di palestra per un allentamento fisico e la ragazza dagli occhi grigi non aveva fatto altro che fissare Cassandra, senza che questa se ne accorgesse.
La realtà è che tutti sapevano che lei fosse particolare, anche i più piccoli, per questo era in quel mondo.
Così, mentre rideva con Amir, a Selene il sangue ribolliva nelle vene ed il disprezzo aumentava, mentre sentiva un buco nello stomaco. Li fissava con gli occhi dischiusi, seduta su una sedia, lontana da tutti loro.
Questo, però, Cassandra non lo notò e tornò al mondo reale senza questa consapevolezza.
Ripose il libro nello scaffale e si avviò verso l'uscita, spalancando la porta, scordandosi che aveva mentito alla bibliotecaria, tuttavia quest'ultima non era seduta alla sua postazione, così la ragazza se la svignò.
Il venticello che le baciò il volto le ricordò il battito d'ali di quella creatura magnifica che aveva potuto ammirare e così camminò a casa con le avventure impresse nella sua testa, e un dolce sorriso sulle labbra.
Cassandra non sorrideva molto, né per tanto tempo, quando lo faceva però era bellissima, ti poteva catturare l'anima solo con quel semplice gesto.

Arrivò a casa e la notte calò. Cenò con i genitori, senza spicciare alcuna parola, ma c'era una pressione notevole, una tensione che si tagliava più semplicemente del cibo nel suo piatto. Dunque, fece un terribile errore, si scordò l'Isola che Non C'è, la mente si bloccò in grovigli di rose appuntite e lei pose i suoi occhi sui genitori.
«Cosa succede?», chiese, sussurrando, mentre pregava che fosse tutto frutto della sua immaginazione.
«Nulla, cara», rispose il padre, sua madre ebbe un fremito incontrollato e Cassandra capì.
Le si chiuse lo stomaco e sentì la nausea bussarle alla gola, tuttavia non rispose e continuò a mangiare, più in fretta di prima, voleva riempirsi la pancia per non riempirsi la testa.
Eppure, stava così bene quando pensava solo a quella battaglia affascinante.
Si sentì uno stridio, che fece sollevare gli occhi di tutti verso sua madre che tirava la forchetta sul piatto.
«Artemide...», la ammonì pacatamente suo marito. Lei si fermò e Cassandra attese che esplodesse tutto, perché altrimenti sarebbe esplosa lei.
«Lo sai che-», iniziò. E fu il più grande errore che fece quella sera.
Artemide sollevò il piatto e lo frantumò contro il tavolo, urlandogli contro e lui si mise in piedi, rispondendole a tono.
E Cassandra silenziò il mondo, andandosene al piano superiore, dove, oltre alla sua stanza, c'era anche un bagno.
Chiuse la porta alle sue spalle e scivolò. Non pianse, non parlò e non udì, osservava solo il muro che le si opponeva.
Un altro errore che fecero i suoi genitori fu ignorarla, perché lei era speciale e, come qualsiasi persona speciale, andava accudita e trattata con cura. Se non ci pensavano i suoi genitori a fare ciò, ci pensava lei.

Si alzò verso lo specchio, poggiando le mani sul lavandino. Osservava la sua figura riflessa, gli occhi arrossati, le lacrime che scivolavano sulle guance, ma lei non le percepiva. Il suo petto si alzava e si abbassava freneticamente, mentre un moto di rabbia le incendiava l'addome. Strinse con veemenza il lavabo, sentendo una strana repulsione verso se stessa, poiché provava la necessità di qualcosa che non avrebbe dovuto desiderare. Poi provò il desiderio di frantumare lo specchio in tanti piccoli pezzettini perché voleva provare a porre fine pure a se stessa in quel modo.

Tuttavia non lo fece, si staccò e tornò nella sua stanza, a passo lento, mentre nel piano inferiore il rumore di oggetti che si rompevano rimbombava per la casa, poi vi erano i colpi contro il muro, che Cassandra non sentiva. Arrivò alla sua camera, chiudendo a chiave, procedette verso il letto che spostò all'indietro con cautela. Dietro al piede del letto c'era una piccola bustina, con tre medicine.
Cassandra non faceva uso di sostanze stupefacenti, solo che a volte doveva calmarsi, perché il mondo correva troppo e lei non riusciva a stare al suo ritmo e, siccome lei non riusciva, era la Terra a dover rallentare. Quello era l'unico modo con cui poteva far girare lentamente il mondo, per raggiungerlo.
Mise la pasticca tra i denti e la avvolse con la lingua, mentre un'ultima lacrima le rigava la guancia e lei chiudeva gli occhi, fece scivolare la medicina lungo la faringe.

L'Isola Che Non C'èDove le storie prendono vita. Scoprilo ora