fixed point

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Guardavo. Guardavo un punto fisso, forse. Si, stavo guardando un punto fisso o nessun punto. Non mi ricordavo nemmeno da quanto tempo stessi guardando il niente, mentre aspettavo qualcosa che sembrava non dovesse succedere. Una parte di me era disconnessa, assente e estremamente nervosa, il mio corpo ne risentiva con il mio occhio destro che tremava, provocando in me ancora più nervoso. Dovevo assolutamente smetterla, mi sarebbe venuto un infarto se non mi fossi data una calmata. Cavolo, mi stavo dimenticando perfino del mio cuore che batteva davvero troppo forte, fortissimo, il suono che sentivo del sangue che pompava mi sembrava così vicino che mi venne una bisognosa urgenza di non sentire più quel rumore.
Non lo sopportavo già più e me ne ero accorta da soli dieci secondi, così tirai un respiro e inspirai. Lo feci per quattro volte ma era chiaro che dovevo disattivare , o meglio dimezzare, le emozioni che sentivo in quel momento. Rallentai il mio affanno ricordandomi di rilassare i muscoli, mi ricordai dell'altra mia parte, quella non così disconnessa dalla realtà. Forse era quella che mi aveva tenuta in vita. La stessa che mi aveva fatto ragionare e calmare, che pensavo fosse sparita. Tirai un ultimo respiro. Non sentivo più il suono del mio cuore battere forte. Chiusi gli occhi e li riaprii rendendomi conto di quello che stavo fissando da un'ora e mezza.

Il mio telefono.

Un'ora e mezza. Prima non sapevo quanto tempo stesse passando talmente presa dall'agitazione, ma ricordavo l'ora che mi sedetti su quella sedia della mia camera, erano le sei e venti. Quando tornai alla realtà allo stesso tempo il mio cellulare si illuminò e per qualche secondo anche i miei occhi. Ma finí subito, quel momento di semi-speranza che potrebbe aver spento la mia preoccupazione, perché era solo una notifica della batteria scarica.
Sbuffai rumorosamente.
Era inutile aspettare.
Mi alzai dalla sedia e come un attimo prima rimasi stupita dalla poca forza rimasta nelle mie gambe che per poco non mi faceva cadere per terra. Avevo scaricato tutta la mia energia inutilmente facendomi anche del male. Inutile preoccuparsi. Inutile aspettare.
Presi il telefono, sbloccai lo schermo. Rimasi a fissarlo per qualche secondo ma mi smisi subito. Quella chiamata non sarebbe arrivata.
Cercai di non ascoltare quella voce, quella di mamma. L'unica voce che mi era rimasta in mente. Mi aveva chiamato alle sei e dieci e io ero completamente incosciente su quello che mi avrebbe detto una volta risposto a quella chiamata.

«nonna non sta bene»

Si. Mia nonna non sta benissimo da un po' di anni ormai. Dieci anni fa ha scoperto di soffrire di diabete. Avevo dodici anni quando me lo disse, chiedendole perché facesse quelle iniezioni quasi tutti i giorni. Pensavo fosse una malattia estremamente grave e cercavo di collegare quello che studiavo alle medie tra corpo umano, cuore, zuccheri e capire cosa mi stava dicendo in quel momento.
A me non piaceva essere colta impreparata ed ero così anche a quell'età. Ne sapevo troppo poco, sentendo quella parola, diabete, pensavo che mia nonna sarebbe stata sempre male da quel giorno. Aveva un suono così insolito diabete ,una parola che voleva nascondere qualcosa. Non capivo però, perché nonna sorridesse quando me lo disse. Lo disse come se fosse una cosa comune avere o meno quella malattia. Infatti non stava quasi mai male, non l'avevo mai vista stare a letto o senza forze. Così mi tranquillizzai, stranamente, al suono di quella parola. Solo lei poteva dire veramente come stava.

Non fu così quel giorno quando mamma mi chiamò per dirmi che sua mamma aveva avuto un infarto due ore prima.
Ero impreparata, colta alla sprovvista, come un tuono a ciel sereno, Quella parola infarto ebbe un effetto immediato su di me senza dubbi o incertezze. Sapevo che cos'era. Quella parola aveva sempre avuto un suono scatenante e tenebroso alle mie orecchie. Mi provocò tremori, palpitazioni, tristezza. A malapena riuscivo a comunicare con mia mamma al telefono, così lei decise di non farmi parlare per molto pensando sarebbe stato peggio. Facevo solo domande, balbettavo nervosamente, ero troppo ansiosa e anche insopportabile in quel momento. Non lo so effettivamente, ancora adesso, cosa sarebbe stato meglio per me. Non avevo buttato giù una lacrima perché non volevo piangere. Sarebbe stato inutile come quella attesa, no, non volevo piangere. Forse si sarebbe ripresa, no? Non lo sapevo bene. So solo che scatenai la forza di non piangere in agitazione frenetica.

Midnight Pillow-duncneyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora