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Amonet era ancora scossa da ciò che aveva visto e da ciò che era successo a Julian.

Jordan nel frattempo la stava trascinando verso una parte della casa che ancora lei non aveva avuto la possibilità di visitare.

C'erano degli ampi corridoi abbelliti con dipinti e affreschi, tappeti rossi con ghirigori dorati e i lampadari scendevano come cascate di diamanti dal tetto illuminando i vari corridoi e stanze.

La lupa entrò in una stanza che era immersa nella luce.

Aveva delle ampie finestre dalla quale filtravano i raggi del sole resi tenui dalle enormi tende bianche; le pareti grigio perla abbellite da quadri e foto che raffiguravano i suoi amici, Jordan e Andrew; il pavimento in parquet era rivestito da un tappeto in velluto bianco sporco e sopra ecco che - al centro della stanza - si ergeva un letto a baldacchino dalle coperte rosse borgogna come il sangue e bianche come le nuvole del cielo d'estate.

«Vieni, siediti» le disse Jordan facendole segno di sedersi dinanzi a lei sull'elegante poltrona posta ai piedi del talamo.

Fece come le era stato chiesto e aspettò pazientemente che la sua amica aprisse bocca e cominciasse a spiegarle ciò che voleva dirle con tanta urgenza, tanto da allontanarla dall'Alpha ancora ferito ed inerme sul letto nella stanza a qualche passo da lei.

«Come... come ti trovi qui?» fu la prima cosa che - tra migliaia - le chiese.

«Molto bene» rispose Amonet. «Avete un bellissimo giardino, delle persone fantastiche e i bambini sono un amore, specialmente Boyce» sorrise al sol pensiero di quel bambino che fino a qualche minuto prima era seduto accanto a lei che conversava come un vero e proprio uomo adulto.

«Mi dispiace» disse Jordan dopo aver ascoltato le parole della sua amica.

E mentre questa cercava di capire a cosa si stesse riferendo la lupa, quest'ultima poggio la sua fronte su quella di Amonet facendo brillare gli occhi e la ragazza dalla pelle nivea urlò cadendo in uno stato di trance.

Si trovava in un grande giardino, proprio quello che la mattina aveva avuto il piacere di guardare.

A differenza però, era che non c'era quasi nessuno lì a parte un giovane uomo e una piccola bambina dai capelli lunghi e castani come il colore dei castagni.

«Quella ero io con mio padre».

Quando la sua amica si materializzò accanto a , capì che quello era un ricordo di Jordan che adesso stava condividendo come lei.

«Mi stava insegnando a combattere, a domare la parte animale e far prevalere quella umana. A gestire il mio dono» continuò a dire quella con sguardo perso mentre osservava il suo giovane padre.

«Quel giorno scoprimmo che mia madre era morta e già sapevo che mio padre non avrebbe resistito oltre e che presto si sarebbe tolto la vita. Mi stava preparando all'ennesima perdita. Mi stava preparando a cavarmela da sola...» sussurrò con la voce incrinata, ma che cercò di nascondere con un colpo di tosse distogliendo lo sguardo dal padre per guardare la sua amica. «In quel periodo inoltre, tuo padre mi aveva fatto da mentore e ti avevo già conosciuto».

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