Capitolo 88

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Nell'arco di brevi battiti di ciglia, lo scatto tonante della porta appena chiusa smise di riecheggiare il suo suono freddo.

Ermetico, quasi angosciante.

Furono rimbombi che si spaziarono in una stanza senza confine, di cui è impossibile intravederne le mura che la racchiudono, né tantomeno si può essere del tutto certi di trovarsi sul serio in un luogo chiuso.

Era come essere sprofondati in un limbo oscuro; la pura notte che sostava tutt'intorno non dava segno di compiere qualsivoglia mutamento, immobile e pesante nella sua tonalità assoluta, greve del suo silenzio martellante.

Hermione sbatté le palpebre più volte; i suoi tratti si confondevano nel buio del luogo, ma ancora, ad una distanza ravvicinata, il bagliore perlaceo degli occhi lucidi rimaneva ben scorgibile.
Con un brivido che le scosse le braccia e le spalle, si rese conto, senza nemmeno voltarsi, che non sarebbe mai stata in grado di distinguere la sottile linea dorata che la porta chiusa doveva averle lasciato come traccia; il suo sguardo offuscato non glielo avrebbe permesso.

Sfiorandosi gli occhi con il dorso della mano, riprese a guardarsi inutilmente intorno. Tutto si celava al suo sguardo: tutto ciò che la notte avrebbe potuto nasconderle.
Fu strano provare la sensazione, per un effimero, flebile momento, di essere tornata umana. Perché lì, nella solitudine e nella quiete opprimente, si sentiva cieca e indifesa a tutto ciò che avrebbe potuto accaderle; in quelle tenebre, lisce e uniformi nella loro minaccia, nessuno avrebbe mai potuto difenderla o avere la certezza che lei fosse in pericolo.

A quel pensiero, Hermione estrasse velocemente la bacchetta dalla veste. Il fruscìo che accompagnò il gesto parve lasciare la notte indifferente e silenziosa.
Maledicendosi per non averci pensato prima, la ragazza l'agitò; e, quando si era aspettata di vedersi illuminare la punta legnosa di quel familiare fulgore opalescente, si avvide improvvisamente che l'incantesimo non aveva funzionato.
Sconcertata, Hermione tentò una seconda volta, dando una stoccata decisa alla bacchetta; ma ancora una volta, essa rimase spenta e identica a sé stessa.

Probabilmente i Vampiri erano stati in grado di confinare la magia fuori dai limiti di quella stanza. Sempre che di una stanza si trattasse.
Rinfilata la sua unica arma nella veste, Hermione, leggermente contrariata, tornò ad osservare i dintorni. E fu volgendo lo sguardo verso il basso, per la prima volta, che ebbe sentore di trovarsi in piedi su un vero e proprio pavimento.

Le labbra semichiuse, la Grifondoro si chinò leggermente. I piedi sostavano su una superficie liscia e nera come la pece; poco più in là, il suo confine si confondeva con il buio della stanza.
Ma la cosa più straordinaria, per Hermione, fu il vedersi riflettere in quel poco pavimento a sua disposizione.
Impressionata, la mente che lavorava spedita, abbassò una mano a sfiorare la sua immagine.

Era una figura sbiadita, esageratamente lontana da un normale specchio; a malapena Hermione distingueva i capelli dal viso, e la sua veste scolastica era un'unica massa scura. Nonostante ciò, Hermione tastò il levigato pavimento consapevole di trovarsi a che fare con qualcosa di cui faticava a comprendere il senso.

I Vampiri non si riflettono su niente, si disse fermamente. Non possono perché sono privi di anima.
Eppure ciò che vedeva, laggiù a pochi centimetri di distanza, era proprio sé stessa. Non aveva più avuto modo di osservarsi da quando Draco l'aveva vampirizzata; spesso, avvertendo nostalgia di sé, aveva ripescato dal baule vecchie foto e le aveva esaminate con quello sprazzo di malinconia che si era sempre sforzata di tener celato, rigirandosele tra le dita con un debole sorriso nostalgico.

Le labbra di Hermione si incresparono istintivamente. Era bello vedersi. Era bello toccare con mano - le dita erano ancora sostate sul pavimento, a sfiorare la sua immagine - il suo vero e proprio passato, ciò a cui l'avevano portata a rinunciare.

Vampires ~ Incubus & Succubus [ Dramione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora