XXIII

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Subito dopo il diverbio con Michael decisi di tornare a casa mia e Janet fu d'accordo con me. Avevo bisogno di ritrovare la mia routine, o perlomeno speravo fosse così, ultimamente non riuscivo a trovare pace da nessuna parte; magari ricominciare a frequentare lo studio, lavorare con i miei colleghi sulle canzoni che avevo scritto mentre ero via e andare a trovare Sarah e il piccolo Jordan mi avrebbe fatta stare nuovamente bene. Respirai aria di casa quando rientrai in studio.

Dopo aver preso il mio solito caffè incontrai il mio capo e presentai alcuni dei pezzi scritti negli ultimi mesi; li trovò molto validi quindi iniziammo subito con la produzione. Trascorsero un paio d'ore senza che neanche me ne accorgessi e fu allora che cominciai a chiedermi seriamente dove fosse finito Teddy: da quando avevo messo piede nello studio, non l'avevo incrociato nemmeno una volta.

«Hey, Kelly! Hai idea di dove sia Teddy?»

«Non hai saputo?»

«Saputo cosa? Sta bene, vero?» risposi con un velo d'ansia.

«Sì sì, è stato raccomandato da Quincy Jones per un album: un progetto enorme!»

«Oh, fantastico! Immagino sia su di giri, aspetta questo momento da un sacco!»

Ritornai al mio lavoro e promisi a me stessa che gli avrei fatto uno squillo per congratularmi una volta tornata a casa.

Appena dopo aver staccato da lavoro passai subito dalla tenuta Hayvenhurst, la proprietà dei genitori di Jermaine, dove Sarah si era trasferita poco dopo la nascita di Jordan, anche per trascorrere a un po' di tempo insieme alla Signora Jackson, che li avrebbe aiutati con il bambino.

«Ma lo sai che sei cresciuto tantissimo? Eh, piccolino?» mi rivolsi a Jordan cambiando il timbro della mia voce e intonando un ritmo cantilenante. Lo tenevo in braccio da quando ero arrivata e continuavo a riempirlo di baci e pernacchie e lui, a giudicare dalla sua reazione, le adorava.

«Can you say "Auntie Coco"?» gli chiesi dolcemente, aveva cominciato a dire le sue prime parole da qualche mese e me l'ero perse.

«Coco? Non ho mai sentito nessuno chiamarti in questo modo, mi piace!» ribatté Sarah.

Mi bloccai. Ovviamente non aveva mai sentito nessuno chiamarmi in quel modo, era il soprannome inventato da Michael.

«Ti fa dormire o è ancora come ai primi tempi?» cambiai argomento.

«Si sveglia un paio di volte a notte, ma è molto più bravo ora!»

«Hai sentito? La mamma ha detto che sei bravo!» lo sollevai leggermente in aria.

«E Jermaine? Non me lo immagino per niente a svegliarsi di notte.» chiese Randy.

«No, infatti lui dorme sempre benissimo, forse anche meglio di prima.» sentii della frustrazione nella voce della mia amica, lasciai Jordan sul tappeto a gattonare e Randy si sedette con lui così che io e Sarah potessimo parlare.

«È tutto a posto tra voi? Mi sembri...»

«Frustrata? Esausta? Nervosa?!» continuò lei la mia frase.

«Giusto un pochino.» risposi con ironia; sottolineai le mie parole avvicinando indice e pollice senza farli toccare e riuscii a strapparle una smorfia, la cosa più vicina ad un sorriso che potessi ottenere.

«Avete dei problemi?»

«"Dei problemi"?! Quanto tempo hai?» iniziò ad elencarmi tutte le mancanze che commetteva Jermaine nei suoi confronti e io rimasi allibita: né lei né Jordan meritavano affatto di essere trattati in quel modo.

•Falling In Love Wasn't My Plan•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora