3 - Ad Maiora

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«Il vetro è frangibile,

Se cade, si rompe e lo butti via.

Agli umani si spezzano le ossa e i cuori,

ma, spesso, vivono lo stesso - se non si buttano via.»

Quella mattina, la sveglia - una campanella assordante che suonava in tutto l'edificio - aveva suonato alle cinque del mattino. Io, già sveglia da mezz'ora, decisi quindi di alzarmi e occupare il piccolo bagno - comprendente solo un water e un lavandino - prima che Arya trovasse il coraggio di alzarsi dal letto.

Uscita dal bagno, indossai un paio di leggings e uno dei vari top sportivi e una felpa corta, poi legai i capelli in una coda alta e solo quando anche Arya fu pronta scendemmo a fare colazione allo stesso tavolo che avevamo occupato la sera prima durante la cena. Incontrai Harry, che mi salutò con un cenno del capo, Louis fu più caloroso del suo amico, infatti mi aveva mandato un bacio volante, prima di indicarmi allo stesso ragazzo moro che era con loro anche la sera prima, pensando che non lo vedessi. Dovevo ancora capire se le sue intenzioni andassero aldilà dello scherzo, ma finché le sue attenzioni non si sarebbero trasformate in gesti invadenti e fastidiosi, non lo avrei disdegnato.

Io e Jake stavamo parlando di quanto i letti delle camere del dormitorio fossero scomodi e di quanto quella campanella che utilizzavano come sveglia fosse irritante, quando un uomo sulla cinquantina, si alzò dal tavolo al centro della sala su cui era seduto, attirando l'attenzione di tutti con un fischio. Era un bell'uomo, vestito di tutto punto, in un completo nero elegante, sulla cui giacca era ricamata in oro una rosa dei venti, come sulle nostre divise. I capelli brizzolati e un corpo alto e muscoloso, contribuivano di gran lunga a dargli un'aria temibile, rispettabile, ma allo stesso tempo i suoi occhi grigio azzurri sembravano rassicuranti, paterni.

Arya mi sussurrò all'orecchio che lui era il Generale Thompson, il responsabile della struttura e colui che coordinava ogni singola attività e dettaglio della vita che avremmo vissuto lì, loro lo avevano incontrato non appena erano arrivati, due giorni prima di me e non avevano fatto altro che stendere un tappeto di complimenti nei suoi confronti per il suo portamento elegante e sicuro.

«Buongiorno a tutti! Come la maggior parte di voi sa, oggi è un giorno importante. Otto nuove reclute hanno fatto il loro arrivo qui ad Argemonia e vorrei invitarli ad alzarsi in piedi e avvicinarsi qui, per farsi vedere e conoscere da quelli che imparerete essere i vostri compagni di viaggio» io e i miei tre compagni strabuzzammo gli occhi, imbarazzati, ma non ci mettemmo molto ad obbedire, così fecero le altre due ragazze e gli altri due ragazzi, che si trovavano dall'altro lato della sala.

Una volta raggiunto il generale, ci mettemmo tutti in fila per potergli stringere la mano e quando arrivò il mio turno, con la schiena ritta e un lieve sorriso, ricambiai la sua stretta.

«Benvenuta, Sergente Denvers, è un piacere averla qui»

«Il piacere è mio, Generale.»

Se pensavo a quanto avevo sudato e pianto per raggiungere quel titolo a soli ventitré anni, il pensiero di aver lasciato tutto per un salto nel vuoto sembrava il più grande sbaglio della mia vita. Ma ritornare al mio lavoro, come se nulla fosse successo, come se quello che avevo passato non mi avesse minimamente segnata, non potevo farlo. Lì avrei ricominciato da zero, avrei preso parte a qualcosa di più grande, avrei lavorato per raggiungere uno scopo più nobile di combattere guerre che per la maggior parte era stato il mio paese a volere.

Quando tutti finimmo di stringere la mano al Generale, ci mettemmo in fila, alla mercé degli occhi degli altri milites mundi, che non facevano altro che guardarci con attenzione, mai in tutta la mia vita mi ero sentita più osservata, con più paia di occhi su di me o sui i miei compagni, ancora più in imbarazzo di quanto lo fossi io, abituata a stare sull'attenti dinanzi a persone di un grado superiore al mio.

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