27 - Incredibile sintonia

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«La sintonia quasi mai ha mezze misure, funziona più come un fiammifero. Non si accende proprio oppure lo fa subito, senza spegnersi.»

HARRY'S POV

Avevo dormito sì e no tre ore, troppo occupato a studiare con Diana e Niall la strategia da adottare una volta che saremmo giunti a Chicago.
Quando avevo proposto di partire con lei, avevo agito spinto dall'istinto, dalla visione dei suoi occhi ambrati che si erano illuminati non appena aveva fatto il suo ingresso in quella stanza, l'avevo vista interagire con noi ed esprimere le sue idee con decisione, come la persona competente che era, mai con arroganza, ma con il rispetto tipico di chi aveva sempre avuto a che fare con l'autorevolezza di una gerarchia ben costituita.

Ero consapevole che quella fosse una decisione azzardata, soprattutto se presa pochi giorni dopo tutto quello che era successo, quando si era mostrata così stanca e senza forze da non saper più contenere le emozioni come aveva sempre fatto da quando era arrivata, ma c'era qualcosa che mi diceva che quella fosse la cosa giusta, il modo giusto per ricordarle che fosse viva, ancora in grado di farsi attraversare da ogni singola sensazione che potesse scuoterla al punto tale da sentirsi grata di essere ancora nel mondo.

Tutto il giorno prima, l'avevo vista muoversi per la sala operativa, osservare piantine, file, immagini di telecamere e selezionare le armi più discrete. Ed anche di notte, con tantissime tazze di caffè vuote a circondarci, non aveva mai mostrato segni di cedimento, ma una concentrazione che non aveva mai vacillato.

Era viva e sembrava finalmente contenta di esserlo, ed io non potevo che rimanere a guardarla e pensare quanto io fossi grato che lo fosse, perché la gioia che avevo provato nel vederla così entusiasta, così tanto nel suo elemento, ero certo di non averla mai provata prima.

E poteva anche essere sbagliato tutto quello che c'era tra di noi, ma io non avrei scambiato quella sensazione per niente al mondo.

«Allora, sei pronto?» la voce di Louis mi ridestò dai miei pensieri, quando mi affiancò sullo scalino su cui mi ero seduto per poter fumare una sigaretta in attesa che Diana arrivasse con i suoi bagagli.

Erano le sei e mezza del mattino e ci aspettavano sei ore di auto fino a Chicago, così che avessimo abbastanza tempo per organizzare tutto il necessario e prepararci per il gala a cui avremmo partecipato.

«Come sempre. - Gli risposi, con una scrollata di spalle e aspirando altra nicotina, necessaria per sopportare le ore di stress che mi avrebbero aspettato. - Come mai già sveglio?»

«Volevo assicurarmi che fossi tranquillo nonostante non ci sarò io a pararti il culo in caso di necessità.» mi disse, rubandomi, come sempre, una sigaretta dal pacchetto che avevo lasciato affianco a me.

«Io invece credo che tu sia venuto qui perché hai qualcosa da raccontarmi.» gli dissi, guardandolo negli occhi fin quando non cedette, sollevando un angolo della bocca in un sorriso furbo, dopo aver acceso la sua sigaretta.

«Abbiamo fatto sesso.» mormorò poi, a bassa voce e in modo confuso.

«Che?»

«Io e Livia, stanotte. Abbiamo fatto sesso.» si spiegò, stranamente imbarazzato, fissando l'Audi Q8 parcheggiata di fronte con sguardo vacuo.

«E perché sembri traumatizzato? - gli chiesi quindi - Non ti è piaciuto?»

Louis a quella domanda scosse subito vigorosamente la testa. «No, no. - si passò la sua unica mano sana sul viso e un bel po' di cenere finì sui suoi pantaloni neri - Anzi, mi è piaciuto eccome.»

«Non riesco a capire quale sia il problema, allora.» Erano le sei e mezza del mattino, mi aspettavano sei ore di viaggio e avevo dormito soltanto tre ore. Gli conveniva essere chiaro, altrimenti uno schiaffo non glielo avrebbe risparmiato nessuno.

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