13 - Per omnia asperrima

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«Ogni volta che cerchi di inoltrarti nello spazio avversario, ogni volta che cerchi di guadagnare terreno, ogni volta che ti proietti verso la linea di meta, dovresti avere un compagno in sostegno dietro di te. Se è un amico, meglio.»

DIANA'S POV

Arya era molto silenziosa, quel giorno. Avevamo appena finito di pranzare dopo una mattina passata ad allenarci nella palestra in autonomia, visto che Liam non aveva ritenuto necessario farsi sostituire da qualcuno quando avevamo a disposizione le nostre schede personali d'allenamento. I ragazzi sarebbero partiti per il New Mexico nel giro di un'ora, così mi aveva detto lei quando le avevo chiesto se Niall l'avesse avvisata della missione che avrebbero dovuto intraprendere, quindi, l'unica cosa che giustificasse quel silenzio era la preoccupazione per il ragazzo biondo con cui stava legando sempre di più ogni giorno.

«Tutto bene?» le chiesi, quando raggiungemmo la camera. Lei non aveva esitato a buttarsi sul suo letto come al solito disfatto, con un'espressione contrita e triste.

L'affiancai subito, ridendo quando mi ritrovai a dover spostare una serie infinita di vestiti per farlo e lei mi rivolse uno sguardo fintamente colpevole, ma nessuna risata o sorriso aveva fatto capolino sul suo volto.

«No.» Si era limitata a rispondere, poggiando la guancia sul cuscino e fissando la porta chiusa come se fosse la cosa più interessante da guardare in quel momento.

«Sei preoccupata per Horan? - le chiesi quindi, poggiandole una mano sulla spalla per rassicurarla. - Lui non sarà sul campo, lo sai. Gestirà la missione da fuori, è quello meno in pericolo tra di loro.»

Lei annuí, consapevole. «Lo so, lo so. Non è per questo.» Disse, e quando si sistemò meglio sul cuscino per guardarmi, notai che i suoi occhi scuri si erano fatti più lucidi e liquidi e un moto di compassione si smosse immediatamente dentro di me.

«Che succede, allora?» le chiesi, facendole cenno di spostarsi in modo tale che potessi sdraiarmi su un fianco vicino a lei.

Ci trovammo così, una di fronte all'altra, in attesa che lei trovasse le parole giuste per parlarmi di ciò che la stava affliggendo in quel momento.

«Oggi sono due anni dalla morte dei miei genitori - sospirò - In questi due mesi qui ci ho pensato sempre, ma avevo sempre qualcosa che mi distraesse: gli allenamenti, Niall, l'imparare ad hackerare. Ma oggi sono un pensiero fisso. Scusami, ora cerco di ricompormi...»

Non sapevo che dire dinanzi a quelle parole accompagnate da un'espressione di pura sofferenza. Una sofferenza che io conoscevo bene e che mi tormentava ogni giorno e ogni notte. Nessuno, probabilmente, l'avrebbe potuta capire più di me e vedere quella che aveva incominciato ad essere per me una amica così triste, fu davvero doloroso.

«Per quanto mi riguarda, potresti essere così anche tutti i giorni - le diedi un buffetto sul naso, che la fece ridere - Tutti, qui, in un modo o in un altro abbiamo perso qualcuno che ci è stato caro. E il fatto che abbiamo intrapreso una strada che ci faccia sentire fuori dal mondo, non vuol dire necessariamente doversi dimenticare di quello che siamo stati prima di arrivare qui. Per quanto questo potrebbe esserci utile.»

Arya ascoltò attentamente le mie parole, poi annuí, confermandole.

«Tu chi hai perso?» Non avevo mai parlato a lei della mia vita prima dell'Argemonia, credendo fosse meglio evitare di parlarne per non cadere in vortici di pensieri da cui sarebbe risultato estremamente difficile uscirne e lei, nonostante avesse capito che avessi molto da raccontare, non mi aveva mai pressato per parlare dell'argomento.

«La lista è molto lunga - Sdrammatizzai, per quanto fosse possibile. - Ho perso mio papà quando avevo dieci anni, Iraq. E due mesi prima di venire qui, il mio plotone. Simon, Robert e... Christian.»

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