15 - Fuori luogo

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«Le anime in pena posseggono la peculiarità di riconoscersi e attrarsi reciprocamente, condividendo i loro dolori.»

A CherryVig, senza la quale in questi giorni non sarei sopravvissuta. Tutta la Louis Supremacy di questo capitolo è per te.

DIANA'S POV

Possedevo quel cerca persone dal secondo giorno in cui ero arrivata in quel luogo e mai lo avevo sentito suonare. Anzi, spesso mi dimenticavo anche di averne uno a disposizione, per questo quando lo sentii suonare quella mattina, mentre ero intenta a vestirmi per la mia solita corsa mattutina, quasi sussultai dallo spavento.

E quando vidi il mittente di quel breve messaggio e il luogo in cui mi aveva chiesto di raggiungerlo, quasi mi fuoriuscì il cuore dal petto.

Harry sarebbe dovuto tornare il giorno dopo, così ci aveva detto Jamie, il ragazzo che lo aveva sostituito durante le sue lezioni di combattimento, per questo non potei fare altro che preoccuparmi quando avevo capito che fosse tornato e che in quel momento, al posto di essere nella sua stanza a recuperare le energie spese, fosse in quel padiglione.

Il padiglione 3, quello che sapevo essere il piccolo ospedale dell'Argemonia, era situato a quasi due chilometri di distanza dai nostri dormitori ed io non avevo esitato un istante prima di infilarmi velocemente una felpa per uscire dalla mia stanza e correre il più in fretta possibile verso quel luogo.

Ero incredibilmente in ansia per ciò che era potuto essere accaduto, continuavo a formulare ipotesi su ipotesi, senza ovviamente cavarne nulla.

Il lato pessimistico di me, vista la mia esperienza, non mi rincuorava affatto. Per questo quando arrivai all'edificio non esitai ad entrare. La prima cosa che vidi furono delle porte scorrevoli su cui un cartello citava il divieto di ingresso ai non autorizzati, ma quando girai la testa verso destra, verso il lungo corridoio bianco, non ci misi molto a vedere Harry, seduto su una delle sedie verdi, intento a rigirarsi il cerca persone tra le mani e a picchiettare nervosamente il piede per terra. Corsi immediatamente verso di lui e non appena gli fui davanti, lui sollevò il viso nella mia direzione.

Fu istintivo per me accovacciarmi di fronte a lui per poter raggiungere la sua altezza e afferrare il suo viso tra le mie mani, per constatare con i miei stessi occhi che stesse bene, che non fosse ferito.

Non lo era, chiaramente, ma il suo viso esprimeva un'altra forma di dolore, sembrava il ritratto dell'angoscia con i suoi occhi rossi e le occhiaie violacee, le cui venature sembravano aver vita propria. Era distrutto e vederlo così diverso da come ero abituata a vederlo di solito, sempre sorridente, superbo e malizioso, fece rimpicciolire il mio cuore nelle morse della preoccupazione.

Corrugai il mio viso in una smorfia di dispiacere, mentre lui mi osservava quasi stupito dalla mia presenza lì, come se ancora non avesse realizzato che fossi reale, presente, pronta a dargli conforto nonostante pensassi di essere l'ultima persona in grado di fornirgliene.

«Harry - lo richiamai, accarezzando con il pollice uno dei suoi zigomi. - Che succede? Che è successo?»

Lui scosse la testa, strizzando gli occhi quasi dolorante e mordendosi il labbro inferiore, alla ricerca del coraggio di ripetere a parole quello che era accaduto.

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