29 - Gioco del silenzio

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«Nothing compares to when
I feel you on my skin
It feels so natural, natural
When we come together
Like a force of nature.»

DIANA'S POV

Harry non mi aveva rivolto la parola da quando avevamo lasciato quella sorta di laboratorio, non lo aveva fatto nemmeno quando eravamo usciti dall'edificio per raggiungere l'hotel dall'altra parte della strada approfittando della confusione che predominava all'interno dell'edificio e nemmeno quando avevamo fatto i bagagli in fretta e furia per salire in macchina e allontanarci il più possibile da Chicago.

Non che io avessi provato ad avere chissà quali conversazioni con lui durante le tre ore di viaggio che avevano fatto per raggiungere il motel sgangherato in cui Harry aveva deciso di fermarsi. Avevo anche provato ad aprire la bocca per proporgli di dargli il cambio alla guida, ma quando avevo pronunciato il suo nome per attirare la sua attenzione, lo sguardo irritato che mi aveva lanciato mi aveva fatto desistere dal farlo.

Come se non bastasse, il tizio alla reception ci aveva avvisato che aveva solo una camera matrimoniale rimasta e che quindi avrei dovuto condividerla con lui.

Certo, sarebbe stato così anche all'hotel a Chicago, avevo messo in conto che io e Harry avremmo dovuto passare la notte sotto lo stesso tetto, ma avevo anche considerato che quella camera fosse enorme, così come lo era il divano nel salotto della suite, su cui avrei dormito piuttosto di far vedere a Harry quanto il mio sonno fosse disturbato.

Arya aveva il sonno pesante e di certo non avrei mai chiesto ad Harry se anche per lui fosse la stessa cosa, nonostante avesse - più di tutti - visto il mio lato più vulnerabile.

La camera che ci era stata assegnata non era nulla di che, pareti giallo ocra e arredo in legno, affianco al lato sinistro del letto, invece, una porta malandata conduceva al piccolo bagno.

Lasciammo i nostri borsoni sulla scrivania di fronte al letto, entrambi evitando accuratamente lo sguardo dell'altro. Quel silenzio stava diventando di secondo in secondo sempre più insopportabile e la voglia di gridargli in faccia di smetterla di ignorarmi aumentava sempre di più.

Odiavo quella situazione, il pensiero che io e Harry non stessimo comunicando nè a parole e né a gesti, come avevamo sempre fatto, mi lasciava un senso di inquietudine che non non accennava minimamente a lasciarmi in pace.

Soprattutto dopo la serata che avevamo trascorso, come se essere lontani dall'Argemonia con un obbiettivo in comune avesse fatto in modo di far dimenticare ad entrambi ogni remora riguardo la nostra vicinanza.

Ci eravamo provocati, ci eravamo guardati con nessun sottinteso ed avevo baciato Harry durante il ballo, facendo io il primo passo nonostante mi fossi ripromessa più e più volte di non avvicinarmi più a lui dopo la notte passata insieme la vigilia di Natale.

E adesso che lui aveva erto quel muro, fatto di sguardi defilati e denti digrignanti, mi sentivo privata di quel piccolo angolo tra lo spazio e il tempo in cui ogni pensiero e preoccupazione non era altro che un lieve pizzicore sotto pelle e non un dilaniante peso nel petto.

C'era stato un tempo in cui io desideravo questo da lui: pura e semplice indifferenza. E adesso che l'avevo ottenuta per un motivo che io consideravo stupido visto che avevamo portato a termine una missione ed entrambi ne eravamo usciti illesi, mi ritrovavo a pensare che Harry mi... mancava?

Sospirai a quel pensiero mentre lui - dopo essersi tolto sia il suo cappotto che la giacca - si andò a sedere sul bordo del letto per togliersi le scarpe, sbuffando ad ogni suo movimento.

Decisi quindi che fosse meglio evitare di respirare la stessa aria per almeno un quarto d'ora, così presi tutto l'occorrente per una doccia e andai in bagno.
Mi lavai accuratamente, levando le tracce di quello che era stato quel breve combattimento dalle mie mani, il trucco perfetto dal mio viso, quell'acconciatura strepitosa, tornando la Diana di sempre.

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