«Quindi è davvero amico di Lewis? Mike? Il tatuatore?»
Norah alzò gli occhi al cielo sentendo il tono, oltre che stupito, di disappunto del fratello. Eppure, quando avevano conosciuto il tatuatore, ad Arthur sembrava star simpatico.
«Perché non mi sembri entusiasta della cosa?» replicò alquanto scocciata. Ci fu qualche attimo di silenzio e dovette verificare che la chiamata fosse ancora in corso.
Infine lui sospirò e: «È che non voglio che finisca come l'ultima volta che sei uscita con qualcuno del genere», ammise.
«Se inizi così non vedo come potrebbe essere altrimenti», sbuffò. «E poi, così come? Perché fa il tatuatore o perché non è caucasico?»
Arthur non sapeva più come esprimere un'opinione senza aver paura di farla arrabbiare. Era terrorizzato dall'idea che andasse a finire di nuovo con loro due che non si parlavano, con lui che si preoccupava di come stesse la sorella e che doveva litigare con i loro genitori per difenderla, anche quando lei era in torto.
Norah lo sentì prendere un respiro e lo immaginò torturarsi i capelli, come faceva sempre quando si innervosiva.
«Siamo in grado di discutere su qualcosa senza dover arrivare per forza al limite? Grazie tante. Comunque per me non c'è alcun problema finché so che ti tratta bene. Voglio solo che tu sia consapevole del fatto che i nostri genitori non ne saranno contenti quando e se lo conosceranno.»
«Finché ho il tuo sostegno, non mi importa. Mamma e papà vorrebbero per me qualcuno che sia stato modellato a tua immagine e somiglianza: un uomo ricco, con un lavoro per loro "degno" e rispettabile. Ma nulla di tutto ciò conta Arthur.»
Norah aveva appoggiato la fronte sul volante, già esausta da quel discorso senza senso. Si era dedicata allo shopping quel tardo pomeriggio, in vista dell'appuntamento di quella sera. E sprizzava gioia da ogni poro finché suo fratello non le aveva smorzato l'umore. Tuttavia non si sarebbe fatta rovinare la serata.
Il fatto che Arthur avesse ceduto ai continui tentativi dei loro genitori di affiancarlo a specifiche persone, non implicava che Norah l'avrebbe preso d'esempio. Lui teneva molto alla sua attuale fidanzata, ma Norah non era sicura che lui l'amasse davvero. Certamente non stava a lei giudicare, anche se era convinta che si fosse "accontentato" per fare un piacere ai genitori Knight: proprio come era capitato in prededenza.«Almeno potevi avvisarmi prima. Adesso mi tocca andare al cinema da solo!» borbottò l'altro, sviando il discorso.
Battibeccarono per un altro paio di minuti e si salutarono.
Norah tirò un sospiro e, finalmente, uscì dalla sua Alfa Romeo bianca per rientrare nel proprio appartamento. Si sentiva sempre più carica di entusiasmo ad ogni piano superato, lasciandosi alle spalle la chiamata con Arthur.
Era pronta a fare una delle sue solite sfilate lungo lo spazio aperto del salotto, con l'intento di mostrare i propri acquisti alla sua coinquilina. Coinquilina che però non c'era, realizzò subito nel silenzio e buio totale della dimora. Le si mitigò nuovamente il temperamento.
Erano quasi le sette di sera e Hanna sarebbe dovuta essere a casa, proprio come le aveva promesso ore prima.
Accese le luci e frugò sul fondo borsa in cerca del cellulare, innervosendosi ad ogni secondo trascorso. La serata non stava promettendo bene. Tornò a respirare con calma quando le dita sfiorarono la forma dell'oggetto. Lo afferrò, lasciandosi cadere teatralmente sul divano.
Proprio in quel momento le giunse una notifica: era Hanna. A quanto pare avrebbe ritardato un po' a causa del lavoro. Norah alzò gli occhi al cielo di fronte alla parola "lavoro", presente in quella chat molto più spesso di quanto si potrebbe definire "normale". Con quella ragazza era un continuo "lavoro, lavoro, lavoro" e "lavoro". Ah, qualcuno ha già detto "lavoro"?
Norah non avrebbe avuto una spalla per la scelta del suo outfit. Perlomeno si sentiva sollevata adesso che sapeva dov'era la sua migliore amica. Anche se, a dirla tutta, un pochino preoccupata lo era: l'ultima volta che era rimasta sola con Lewis, Hanna era finita in lacrime e Norah l'aveva trovata fra le braccia dello stesso uomo che l'aveva fatta piangere. Sebbene adesso la situazione era leggermente cambiata... Hanna glielo aveva confessato, mentre si scaldavano sotto una coperta guardando la televisione, che si era sbagliata su Lewis. Più che altro aveva ammesso di aver usato la tecnica del "inventarsi più difetti possibili per evitare di affrontare la verità". Aveva anche messo in chiaro che ciò non l'avrebbe fatta desistere dall'idea di tenerlo fuori dal suo futuro. Agli occhi di Norah ciò rappresentava comunque un passo in avanti per Hanna.
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That's How The Light Gets In
ChickLit[35 capitoli - in corso...] Hanna Landi si è trasferita a Londra per studiare Journalism a soli diciannove anni. No, la realtà non è propriamente questa. Però è questo ciò che tutti pensano e l'unica persona che sa la verità è Norah, sua coinquili...