«Il cimitero di Brompton?» Hanna non capiva. Cosa mai poteva collegare un giovane uomo come Lewis, così solare e pieno di vita, ad un cimitero? L'idea che lui sapesse cosa volesse dire "morte" le fece accapponare la pelle.
Lewis si voltò con gli occhi lucidi, in piedi di fronte all'arco che apriva l'ingresso a quel luogo ricco di pace quanto di dolore. «Ognuno di noi è stato rotto da qualcosa - chi più e chi meno - ma è questo che permette alla luce di entrare, se glielo permetti», affermò, con lo sguardo fermo e la voce spezzata.
Alla vista di tanta fragilità e forza il cuore di Hanna pensò di non farcela. Era stata colpita in pieno da un treno ad alta velocità, che aveva creato una crepa enorme nella capanna di vetro in cui si era abituata a nascondersi.
Lewis era a pezzi e lei non se n'era mai accorta. Tuttavia dentro di lui c'era qualcosa che in lei mancava, un pezzo che non era mai riuscita a mettere al proprio posto: coraggio di vivere.
«Non posso permetterglielo Lewis... tu non sai. Se lo facessi potrei distruggere tutto senza neanche volerlo», ammise con voce ruvida a sua volta. Non si era neanche accorta di star piangendo.
Due, si può dire, sconosciuti - appostati su un marciapiede di Londra - a piangere sotto la pioggia picchiettante, quasi a voler rimarcare ciò che segretamente li univa fin da principio.
«Per favore, ho bisogno di dimostrarti che è possibile. Se dopo non vorrai crederci lo rispetterò, ma devo sapere di aver provato a salvare una persona che mi ricorda il me di sei anni fa.»
Lewis aveva fatto qualche passo verso l'esile figura, che in quel momento ricordava tanto una foglia tremante al vento.
Lo sentiva il dolore di entrambi mischiarsi sulle loro pelli, fino ad aggrovigliarsi nelle loro gole per soffocarli.
Piangevano ognuno per il proprio passato e soffrivano per empatia del dolore l'uno dell'altro.
Solo che lui si trovava appena qualche gradino più in alto e le stava letteralmente offrendo una mano per aiutarla a fare il primo passo.
Hanna dubitava di poter essere salvata. Nonostante ciò decise di dare una possibilità a Lewis; non tanto per sé stessa quanto per lui, per farlo stare in pace con la sua coscienza. Per lei non c'era via d'uscita. Afferrò quindi la sua mano, ricoperta adesso da goccioline d'acqua.
Beandosi di quel contatto precario, si incamminarono sotto un cielo grigio e brontolante.
Poco dopo Lewis si arrestò davanti ad una lapide solitaria, con dello spazio libero attorno: probabilmente dedicato agli altri membri della famiglia.
Hanna seguì lo sguardo ancora umido dell'uomo e lesse le parole incise sul marmo pallido: "William Kyle Green" con data di nascita e di morte. Osservò la foto del giovane ragazzo sorridente impressa sopra ad esse. Nessuno poteva sbagliarsi di fronte a quegli occhi luminosi.
Hanna si strinse nel proprio cappotto in cerca di protezione, pervasa da brividi e rabbia e dolore. Attese in rispettoso silenzio che Lewis si riprendesse da quel momento. Avrebbe voluto tanto abbracciarlo, perché sapeva bene che mai nessuno al mondo avrebbe dovuto vivere quelle esperienze.
«Lui è - era mio fratello, Will. E' morto a soli diciannove anni. Lui di possibilità non ne ha avute perché la morte se l'è portato via», iniziò a parlare con voce lieve, mantenendo gli occhi sul viso raffigurato a poca distanza da loro. «Quando è successo io ero con lui: era tarda sera, io ero tornato a casa dopo un successo scolastico; per festeggiare, quella piccola peste, aveva organizzato un'uscita con tutti i nostri amici. Non eravamo ubriachi, non avevamo neanche bevuto chissà cosa in realtà. I ragazzi che ci vennero contro ad una curva lo erano. Will non sarebbe dovuto morire. La macchina era la mia, solo che lui ci teneva tanto a dimostrami quanto era diventato bravo che glielo concessi. E' morto perché si trovava alla guida: per evitare uno scontro diretto ha svoltato tutto a destra, andando contro un muro. E' morto sul colpo per salvare me, Will è morto per colpa mia e mi sono portato il senso di colpa addosso per troppo tempo.»
Hanna, udendo tali parole, si era portata una mano alla bocca per evitare che i suoi singhiozzi si facessero rumorosi. Aveva ascoltato con il cuore aperto ogni sillaba, aveva assorbito tutte le emozioni di Lewis in sé stessa, mentre i propri di ricordi si mischiavano a quelli dell'uomo.
Non riusciva a pensare a nulla di concreto, era solo vinta da tante sensazioni diverse.
«Lewis, mi dispiace. Io- non è colpa tua. Non pensarlo mai più, ti prego. Nessuno si merita tanto dal mondo, men che meno tu», sussurrò, tirando sù col naso.
Lewis finalmente congiunse lo sguardo a quello della donna, mentre con la mano tremante teneva ancora l'ombrello sulla propria testa, così come stava facendo Hanna col proprio.
Tuttavia i loro sguardi - per quanto in sintonia potessero essere - differivano a causa di un piccolo dettaglio ed Hanna ne fu quasi impaurita. Lewis era distrutto, ma non era vuoto. C'era qualcosa ad illuminarlo, una piccola luce che lo teneva a galla e lei non si capacitava di come fosse possibile.
L'uomo sorrise appena e: «Non potrò mai accettare il fatto che sia morto per salvarmi. Ma io avrei fatto lo stesso e, quando ci penso - quando penso che sarebbe potuto capitare l'inverso - mi dico che io non avrei voluto che Will vivesse come stavo facendo io. Non vivevo: ero ubriaco la maggior parte del tempo e, se non fosse stato per Arthur, non so che fine avrei fatto», mise a nudo i propri pensieri. «Ho capito che purtroppo non siamo i soli a camminare su questa terra e non abbiamo il potere di decidere per gli altri. Non abbiamo il potere di decidere nulla se non quali scelte fare, se non come approcciarci a ciò che ci si para dinanzi agli occhi all'improvviso. L'ho capito in tempo e sono grato a chi mi è stato accanto; soprattutto, sono grato a me stesso per averglielo permesso. Di aver permesso a chi mi vuole bene di soffrire con me ed affrontare quel lungo processo che segue una perdita.»
Hanna non sapeva cosa rispondere. Cosa poteva dire? Era scossa, era demoralizzata e arrabbiata con l'universo. Non capiva come Lewis avesse trovato la forza di vivere ancora, perché era sicura del fatto che lui fosse morto con Will quella sera. Che avesse vagabondato per giorni, settimane o mesi come un fantasma sul suolo di quel dannato pianeta. Lewis era rinato e glielo stava dimostrando.
Lei non era convinta di poterselo permettere, in quanto portava dentro di sé una segreta consapevolezza che le tappava le ali.
«Sono sicura che tuo fratello avrebbe voluto che tu vivessi e sono felice che tu ci sia riuscito», riuscì a dire, nascondendo il viso con il fazzoletto di carta che aveva pescato dalla propria borsa.
Hanna aveva spostato l'attenzione di nuovo sulla lapide, così da non dover mostrare a Lewis il vuoto che c'era ancora nei propri occhi.
«Puoi riuscirci anche tu Hanna, ne sono certo. Norah ti vuole bene e se non vuoi farlo per te stessa, fallo per le persone che ti amano. Non sei sola, hai qualcosa per cui lottare e sai che ne vale la pena», osò esprimere Lewis. Non era sfuggita la rabbia viva impressa sul viso affilato della ragazza al suo fianco.
Hanna non poteva biasimarlo, lui non sapeva. «E' questo il problema Lewis: io non avrei neanche dovuto permettermi di entrare nella vita di Norah. Quando cadrò davvero, quando raggiungerò il fondo, lei si farà più male di me e io non me lo perdonerò mai. Per questo non voglio che tu entri nella mia vita, Lewis. Per questo non mi sono mai spinta oltre con Arthur o con chiunque altro. Quando la vita mi riserverà ancora il peggio, Norah avrà lui. Io non so con certezza cosa mi riserva il futuro, però non auguro a nessuno di avere la sicurezza che molto probabilmente qualsiasi cosa faccia sia inutile.»
Lewis si sentì sprofondare di fronte a tanta amarezza. Hanna non era solo impaurita dal suo passato, lei aveva qualcosa in tasca a precluderle un futuro e ciò gli fece gelare il sangue nelle vene.
Si sentì come se un tornado lo avesse strappato dalla terra ferma. Gli salì la nausea.
«Tutti meritano una luce, seppur piccola e transitoria.»
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That's How The Light Gets In
ChickLit[35 capitoli - in corso...] Hanna Landi si è trasferita a Londra per studiare Journalism a soli diciannove anni. No, la realtà non è propriamente questa. Però è questo ciò che tutti pensano e l'unica persona che sa la verità è Norah, sua coinquili...