Capitolo 18

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Il pc giaceva in disuso da minuti interminabili sull'isola della cucina, alle spalle di un'uomo la cui bocca rilasciava fumo piuttosto che parole.
Quella sera di maggio a Londra il sole era tramontato esattamente alle 20.43: l'aveva visto lui stesso, affacciato dal balcone, alternando lo sguardo dall'orologio sul polso al cielo spento, con la sigaretta in bilico fra l'indice e il medio. La cenere era caduta un paio di volte sul terrazzino del piano di sotto senza che ne ne accorgesse. Il posacenere vuoto dimenticato sul piccolo tavolino verde all'angolo.
Aveva la testa da tutt'altra parte. Proprio per questo aveva mollato il lavoro dentro l'appartamento ed era uscito, sperando che l'aria fredda lo svegliasse un po'. Non l'aveva aiutato, anzi... la sua mente era diventata un susseguirsi di riflessioni sconlusionate.
Gli eventi dell'ultimo periodo si mischiavano ancora fra loro, rendendogli difficile racapezzarsi in mezzo a quel disordine mentale.
Come ci era finito lì? Cosa ci faceva in una casa non sua? Perchè la vita era così strana? Fino a tre settimane prima si trovava in giro per il mondo, lontano da qualsiasi sofferenza, e adesso i suoi pensieri avevano intrapreso una strada inaspettata: l'esperienza di quella giornata lo aveva scombussolato a tal punto da sollevare una considerazione leopardiana.
Durante uno dei suoi viaggi in Italia aveva conosciuto uno stilista poco noto - di cui non si ricordava più neanche il nome - ad un evento di moda. Ora, qualcuno potrebbe chiedersi cosa c'entri uno stilista con Leopardi. Beh, l'uomo in questione era un appassionato di letteratura e riversava le proprie conoscenze sugli abiti che disegnava.
Lewis si trovava alle sue spalle quando gli era caduto l'occhio sull'album aperto che l'uomo, più anziano di lui, sosteneva con ambe le mani. Era rimasto colpito, perciò si era avvicinato per farglielo sapere. Così, una volta fatte le presentazioni, lo stilista lo aveva introdotto al pensiero di Giacomo Leopardi.
Quando il fotografo era rientrato nella propria camera d'albergo si era fatto un bel giro su internet e si era acculturato a sua volta. Inizialmente s'infuriò perchè il poeta dimostrò possedere una visione del mondo contrastante con la sua. Tuttavia, alla fine, lo capì.
Giacomo aveva ragione: la vita è nulla. E vivere con tale consapevolezza aveva dato un altro sapore alla sua esistenza.
Magari Lewis non aveva afferrato fino in fondo il punto di vista di Leopardi, ma ciò che ne aveva ricavato era una buona cosa.
La sua interpretazione era che: bisogna vivere sapendo che non c'è un senso. Cioè, avere chiaro in testa il fatto che non si può evadere dal dolore e dalla morte, concede la possibilità di condurre una vita a cui si può attribuire noi stessi un significato. Per Lewis, ad esempio, esso era rappresentato dal fare le cose che amava e assimilare ogni emozione, a prescindere dalla piega che avrebbero assunto le cose.
Comunque, quella notte aveva telefonato Arthur e, senza neanche salutare o altro, gli aveva detto con foga: "Da oggi non sopporto le persone convinte di poter eludere la negatività: vivono in un mondo finto; sprecano la felicità matura per una felicità infantile, per piaceri futili e poveri. Oppure si chiudono in una fortezza, circondata da un canale colmo di coccodrilli, pensando di aver vinto qualcosa, quando in realtà hanno solo perso l'occasione di essere felici. Come pensi di vincere se non ti sei neanche messo in gioco? Non vinci: sei solo invisibile e immobile. Non esisti". Lui gli aveva riattaccato in faccia, ma questa era un'altra storia.
Il discorso è che Lewis odiava il fatto che Hanna stesse facendo proprio questo.
Dopo aver incontrato Ben e pianto tutte le sue lacrime, lei era caduta in un silenzio tombale, con gli occhi vuoti e l'espressione apatica.
Non se l'era sentita di lasciarla in un momento del genere e sarebbe stato inutile per lui tornare a casa: non avrebbe avuto pace chiedendosi di continuo come stesse.

«Hey», Norah comparve alle sue spalle, avvolta in un lungo cardigan blu notte. «Tutto bene?»

Lewis si voltò, mantenendosi appoggiato con la schiena contro la ringhiera. «Diciamo di sì. Tu? Hanna si è addormentata?»

«Da una decina di minuti», sospirò la bionda. La stanchezza era palese sul suo volto e a Lewis dispiacque vederla ridotta in quello stato.

«Perché sta così? Non ha mai provato a... non so... vedere qualcuno?» liberò un'altra nuvola di fumo dalle labbra inaridite.

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