Capitolo 3

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L'avrebbe fatto. Avrebbe superato quella porta e, senza pensarci oltre, avrebbe realizzato quel sogno.

«Ma chi voglio prendere in giro? Non ce la posso fare. Andiamo a casa.»

Arthur afferrò per un braccio la bionda. «Non a caso tu ed Hanna siete amiche, hm?» e scosse la testa, rivolgendole un'occhiata che si potrebbe dire uguale a quella di un padre deluso.

«Uff», sbuffò Norah. Come se qualcuno la stesse costringendo! Aveva praticamente trascinato Arthur fin lì: si era recata sotto l'ufficio del fratello e l'aveva pregato di accompagnarla. Lui, poverino, si era ritrovato a chiamare la fidanzata per annullare la cena che avevano pianificato da un mese.

«Guarda che mi hai obbligato a venire fin qui. Quindi: o entri o ti ci porto in spalla.»

Norah sembrò aver capito, tant'è che chiuse gli occhi e prese un profondo respiro per prepararsi all'azione. «Hanna non ha paura degli aghi, Arthur caro. E' ben diverso», detto ciò si scrollò dalla presa del fratello e si avviò verso l'entrata del negozio. Ad ogni passo perdeva coraggio.

Arthur non si mosse. Aveva le braccia incrociate al petto e un'espressione divertita sul viso.

1,2,3... «Ti prego, entra prima tu e tienimi la mano», borbottò lei, girandosi con le mani a mo' di preghiera, disperata.

Il fratello scoppiò a ridere e la raggiunse. «Sarò li con te», la prese per mano. «Sai già cosa vuoi fare, giusto?»

Norah era grata di avere un fratello come Arthur. Molto.

«Sì. Ti ricordi che, quando il nonno ci faceva i regali, lasciava sempre un bigliettino con una frase particolare? L'ultima volta a me ha scritto questo», tirò fuori dalla tasca un bigliettino d'auguri color panna, con stampato sopra in caratteri dorati "HAPPY B - DAY".

Gli occhi dell'avvocato si fecero umidi come quelli della giornalista. Prese il pezzo di carta e lo aprì: sulla metà destra c'era scritto, nella inconfondibile calligrafia del defunto nonno, "Fly free, my little dragonfly". Arthur l'abbraccio e prese a baciarle una guancia. Non aveva le parole giuste da dire in quel momento.

Entrarono nel negozio e una ragazza dai capelli tinti di viola sollevò lo sguardo su di loro. «Salve, avete un appuntamento?»

Norah, agitata come non mai, si schiarì la gola e riferì il proprio nome. Stava stringendo tanto forte la mano del fratello che lui, di questo passo, credette di ritrovarsi con le ossa rotte.

«Sì, mi risulta», continuò la sconosciuta, osservando lo schermo del computer. «Mike vi aspetta proprio nello studio in fondo al corridoio, a destra.»

La ringraziarono e andarono dove suggerito.

Arthur aveva sentito parlare di quel posto da Lewis e - se non errava - il nome "Mike" non gli era nuovo. Si chiese se fosse lo stesso tatuatore talentuoso che, a detta del suo migliore amico, sarebbe diventato una leggenda.

Quando giunsero di fronte alla stanza, trovarono la porta aperta: un ragazzo dai capelli neri si mostrava chino sulla propria attrezzatura, intento a disinfettare ogni oggetto. Il tutto mentre canticchiava seguendo il ritmo di una canzone. La scena era davvero bella da guardare: trasmetteva dedizione e passione.

«Salve», salutò Arthur, dopo essersi schiarito la voce, una volta entrati.

Il tatuatore sollevò il capo e sorrise calorosamente. «Salve, io sono Mike. Scusate, ma ho appena finito un tatuaggio impegnativo e non ho avuto il tempo di pulire», chiarì subito. «Chi di voi è il cliente?»

Norah - che, non appena aveva incrociato gli occhi dell'artista, aveva avuto un tuffo al cuore - alzò timidamente l'indice. «Eccomi.»

Mike capì all'istante che la ragazza aveva paura. Gli era capitato tante volte di dover rassicurare un cliente. Tuttavia era del pensiero che, come per ogni cosa, una volta fatto il primo passo la paura inizia a sfumare.

«È la tua prima volta?»

«È così evidente?» replicò intimidita. Non solo aveva paura dell'ago, ma il tatuatore era affascinante ed era difficile che qualcuno colpisse il suo interesse con solo un'occhiata.

Norah in verità non si fermava mai all'apparenza: le sue amicizie e i suoi amori si erano basati sempre sul trasmettersi qualcosa. Secondo lei la chimica avviene anche ad occhi chiusi e Mike aveva qualcosa di intoccabile attorno. Lei lo percepiva sulla pelle.

Mike rise genuinamente di fronte a tanto timore. «Mi sa che dovrai tenere la mano della tua ragazza per tutta la seduta», commentò verso Arthur.

Quest'ultimo rivolse gli occhi alla sorella, la quale fece la stessa identica cosa. Scoppiarono a ridere. L'uomo doveva averli scambiati per una coppia per via delle mani intrecciate.

«Oddio, no» e «Siamo solo fratelli», chiarificarono all'unisono.

Mike spalancò leggermente gli occhi per la figuraccia appena fatta e scosse la testa, ridacchiando con loro. «In effetti vi assomigliate molto, avrei dovuto pensarci subito.»

L'imbarazzo scemò non appena Norah si sedette e iniziò a spiegare quale fosse la sua idea.

Arthur se ne stava seduto lì vicino a picchiettare le dita sul cellulare, un po' per lavoro e un po' per svago.

Lo sconosciuto ascoltò con piacere la cliente, la cui bellezza non gli era sfuggita. Avvertiva qualcosa di profondo nel suo sguardo, era evidente anche dai pensieri che esprimeva.

Si trovò ad andarci d'accordo, tanto che - mentre abbozzava il disegno - finirono per parlare di tutto tranne che della libellula.

Intuì che i due fratelli fossero molto diversi da lui: dovevano far parte di qualche famiglia ricca, indubbiamente. Ciononostante si erano rivelati una piacevole sorpresa nell'atteggiamento.

«Ecco qui, cosa ne pensi?» girò il foglio in modo da permetterle di vedere la figura dal verso giusto. A Norah si illuminarono gli occhi: Mike aveva compreso perfettamente cosa lei avesse in mente. Annuì entusiasta.

Non molto tempo dopo una libellula fu impressa finemente lungo la sua schiena magra ed abbronzata. Osservò allo specchio il corpo allungato dell'insetto, che seguiva verticalmente un pezzo della sua colonna vertebrale - fino in mezzo alle scapole, per la precisione. Le quattro piccole ali si trovavano all'apice, mentre la scritta - ricalcata dal bigliettino in un corsivo a lei famigliare - si delineava in orizzontale, parallelamente alla coda sottile.

Delle lacrime di gioia le caddero inarrestabili dagli occhi color nocciola. «E' stupendo. Esattamente ciò che desideravo.»

«Hai fatto un ottimo lavoro Mike», aggiunse Arthur, osservando la pelle tatuata della sorella.

Non gli era sfuggito l'interesse che Norah riversava su Mike. La conosceva troppo bene per non accorgersene. Comunque non c'era da preoccuparsi: tanto da lì in poi non si sarebbero più visti.

«Il merito è anche di Norah: è stata molto paziente. Pensavo che avremmo dovuto prendere qualche pausa e invece... »

Il tatuatore, soddisfatto di quel piccolo lavoro, si tolse i guanti in lattice e li buttò nel secchio. Per quanto si sentisse fiero dei tatuaggi super elaborati e particolari, del suo lavoro preferiva la parte in cui regalava alle persone qualcosa dal valore inestimabile. Per lui fissare sulla pelle di qualcuno un ricordo, un'emozione, era ciò che a fine giornata gli permetteva di sentirsi arricchito nell'anima.

«Beh, anche se non sembra, lei è una tigre. Tiene gli artigli ben nascosti», disse Arthur.

«Ovvio. Non posso mica rivelare a tutti le mie armi», replicò Norah, terminando la frase con una linguaccia dispettosa verso il fratello, facendo ridere quest'ultimo e pure il tatuatore.

Dopo la copertura del tatuaggio, le raccomandazioni sulla medicazione e il pagamento, salutarono l'artista e tornarono ognuno a casa propria.

Mike pensò a Norah quella sera, fissando lo schizzo della libellula. "Fly Free" diceva la scritta. Non avrebbe potuto trovare parole migliori per descriverla. Lei era una libellula libera ed irraggiungibile, soprattutto per uno come lui. Gli era piaciuta. Chissà se si sarebbero visti di nuovo un giorno? Magari la prossima volta avrebbero bevuto qualcosa insieme, forse ballato, e si sarebbero scambiati altri preziosi pensieri.

Sospirò e: «sogni troppo Mike», sussurrò a sé stesso.

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