Capitolo 17

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Un ritardo di quindici minuti non dovrebbe essere un gran problema, ma si sa: nell'attesa il tempo si dilata. Per questo, quando Lewis si accomodò al solito tavolino dello Starbucks a Russel Street - dove tutto era iniziato e continuava a procedere - dovette subirsi il malumore di Hanna.
Alzò gli occhi al cielo per l'esagerazione con cui lo stava rimproverando. Anche se lo faceva quasi ridere il modo in cui l'immagine della sera precedente si scontrava con quella di adesso: da un cucciolo indifeso ad una tigre con artigli e zanne perennemente in mostra.

«Dio, abbiamo tempo. Sei sempre così melodrammatica», sbuffò, cercando di reprimere il sorriso prepotente che sentiva sulle labbra da quando si era svegliato.
Poi notò, oltre al solito iced coffee, un frappuccino sul tavolo. Lo afferrò come in trance, senza ascoltare più neanche una parola.

«L'hai ordinato per me?» domandò, interrompendo qualsiasi cosa Hanna stesse dicendo.

«Non mi stavi ascoltando, vero?» replicò irritata. «E non guardarmi come se avessi fatto chissà cosa. Dopo dieci minuti passati ad aspettare, ho deciso di ordinare anche per te. Ci manca solo che aspetti che tu faccia la fila», disse, accennando con un gesto vago della mano al resto della clientela.

«Certo, certo. Sia mai che Hanna Landi sia premurosa con qualcuno», fece con tono ironico l'uomo, per poi assaggiare la bevanda.

Lei si aggiustò gli occhiali da sole fra i boccoli e sorrise perfidamente.

«Non sei un bambino, Lewis. Non hai bisogno che qualcuno si prenda cura di te.»

«Forse io no. Ma tu sì», affermò l'altro, pronto a contrattaccare. «Non a caso ieri sera ti ho portata in braccio dal divano al letto, proprio come avrei fatto con Chris.»

Lewis avrebbe dato via anche l'anima per fotografare Hanna in quel preciso istante: sembrava che stesse per scoppiare dall'imbarazzo, immobilizzata come un blocco di ghiaccio.

«Mi stai prendendo in giro», constatò la donna. Si rifiutava vivamente di crederci. I ricordi della sera precedente erano sfocati: sapeva di essersi addormentata accanto a Lewis, ma credeva che fosse stato Arthur a riportarla nella propria stanza. Perlomeno, questo le era sembrato il ragionamento più logico.

«Sei incredibile», Lewis scosse la testa tra il divertito e l'incredulo. «Ti rifiuti proprio di credere che tengo a te... e scommetto che non vedi l'ora che mi levi di torno, non è così?»

Hanna si sentì in colpa: il sorriso di Lewis si era spento come una candela al vento, prima tremolante e poi in un battito di ciglia.

«Io», sospirò. Non sapeva bene neanche lei come spiegarsi. «Non so cosa dire, ok? Semplicemente non posso accettare tutto questo... qualsiasi cosa stia accadendo tra noi. Non ti conosco e tu non conosci me.»

«Il problema non è che ci conosciamo da poco. Il problema è che tu non vuoi darci la possibilità di approfondire la nostra conoscenza.»

Lewis non riusciva ad accettare il fatto che lei provasse qualcosa per lui e non volesse lasciarsi andare.
Pensò che, probabilmente, Hanna stesse cercando di resistere alle proprie emozioni finchè il progetto non fosse terminato. Lei stava aspettando di toglierselo di torno, così da poter proseguire indisturbata con quella finta vita che tanto amava. Senza fuoco, calore, brio... senza pericolo. Una vita sicura e pianificata.
Dal momento in cui si erano incontrati, un filo sottile aveva legato le loro anime come se fossero predestinate l'una all'altra.
Se non fosse capitata quell'occasione, ce ne sarebbe stata un'altra e Lewis ne era certo di questo. Solo che di possibilità per fare la scelta giusta ce n'è solo una.

Hanna non aprì bocca, colpita nel segno. Gli occhi bassi.

«Dammi un motivo Hanna. Non puoi pretendere che io passi giornate intere con te senza affezionarmi ogni volta un po' di più. Non puoi credere che io riesca a mettere dei paletti quando dici una cosa e ne fai un'altra... tu mi avresti baciato e non puoi mentirmi su questo», rilasciò una piccola risata malinconica.
«Ti ho dato la possibilità di allontanarti, ma tu eri lì ferma, inerme, ad aspettare che io facessi un passo per entrambi. Hai ragione: siamo in tempo per lasciar perdere... però non puoi fingere di odiarmi, non puoi mentire neanche a te stessa», finì di sfogarsi, stanco di tenersi dentro tante cose non dette.
Lewis si sentì patetico: fino a dieci minuti prima moriva dalla voglia di vederla, sicuro di trovarsi davanti una donna più aperta nei suoi confronti e invece...
Hanna era fottutamente immobile e lui stava camminando da solo, lungo un sentiero che portava ad una sola meta.

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