Capitolo 6

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Lewis aveva dedicato la giornata intera ad uno shooting e la sera al ritocco delle fotografie che aveva meticolosamente scattato.
Quando lavorava, aveva il vizio di lasciare il cellulare in modalità silenziosa: cosa che tutti gli criticavano perché, nel caso in cui ci fosse stata un'emergenza, non sarebbe stato raggiungibile. E lui ne era consapevole, per questo cercava sempre di resistere alla tentazione. Ciononostante, ritrovandosi con la concentrazione particolarmente instabile, si era sentito costretto ad eliminare qualsiasi tipo di distrazione.
Il grosso del lavoro l'aveva finito verso l'una e solo allora aveva notato le varie chiamate perse da parte di Arthur. Dato l'orario, in genere avrebbe aspettato la mattina seguente per richiamarlo, ma il suo migliore amico non era un tipo insistente e tre chiamate perse erano abbastanza per incuriosire Lewis. Inoltre, moriva dalla voglia di vederlo imprecare per causa sua. Avviò una videochiamata.

«Cristo Lewis, è l'una!» borbottò infatti, con voce stanca, dopo svariati squilli.

Lewis ridacchiò soddisfatto. «Tre videochiamate perse Arthur»,  replicò, come se quell'affermazione giustificasse il fatto di averlo strappato al sonno ad un orario tanto indecente.

Arthur sbuffò nel buio della propria camera. Successivamente mugugnò qualcosa d'indistinto, forse degli insulti rivolti alla faccia da schiaffi impressa sullo schermo del cellulare. Infine, la luce della lampada da comodino si accese e un viso gonfio dal sonno si rivelò a Lewis.

«Ti ho lasciato un messaggio», disse Arthur.

Lewis aggrottò le sopracciglia e ammise di non averci fatto caso, ottenendo un'alzata d'occhi al cielo da parte dell'altro.

«Comunque, quando ti ho chiamato ero a cena con i miei. Sai che mio padre è un tipo esigente e quando vuole diventa insistente», continuò l'avvocato.

Il fotografo non capiva perché ciò lo riguardasse. «E cosa voleva tuo padre da me, per l'esattezza?»

«Ecco perché ti ho scritto di chiamarmi domani», Arthur sbuffò per la millesima volta. «E ora dovrò stare qui a pregarti per conto di mio padre, come se non avessi di meglio da fare che dormire! Non so te, ma io domani sarò rinchiuso per ore in un dannato ufficio pieno di scartoffie!»

Lewis si gustò molto l'esasperazione dell'amico, che aveva terminato quello sfogo con la voce più acuta che avesse mai sentito. Avrebbe potuto paragonarlo ad un bambino capriccioso in preda ad una crisi di nervi.

«Ha, ha, ha. Ciao Lewis», commentò Arthur, con espressione acida, quando Lewis iniziò a ridere a crepapelle. Come trovava lo spirito di divertirsi in ogni situazione? Poteva essere coinvolgente quanto irritante alle volte.

«Okay, okay la smetto!» cercò di mantenersi serio. «Allora, cosa volevi chiedermi?»

«Domenica i miei daranno un evento di beneficenza e ci tenevano che partecipassi anche tu. È da molto che non ti vedono: stai sempre in giro per il mondo. Ti prego, per favore - pensaci. Anzi, dimmi subito di sì perché non ho intenzione di continuare ad insistere.»

Lewis capiva la disperazione nella sua voce. I signori Knight insistevano da anni nel volerlo al loro fianco, lavorativamente parlando; solo che lui non aveva mai sentito la necessità di avvicinarsi più del dovuto.
La sua espressione passò da divertita a pensierosa, riflessiva, esitante ed infine decisa. «No. Sarebbe meglio che non venissi.»

La reazione di Arthur fu abbastanza esagerata: tuffò il viso nel cuscino e si lamentò in modo preoccupante.

«Mi spiace, ma lo sai che la domenica la dedico a Christine quando sono a Londra; in più, so già che tuo padre continuerà con i suoi discorsi sul affiliarmi alla vostra azienda...»

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