Capitolo 25

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Se fosse stato possibile allungare le mani attraverso lo specchio e picchiare il proprio riflesso l'avrebbe fatto. Si sentiva come uno straccio. Il corpo muscoloso e scolpito, che con tanta fatica e sacrificio aveva costruito, non gli dava più la solita soddisfazione e le guance accuratamente sbarbate non lo facevano sentire pulito. Chi sei tu? Continuava a domandarsi. Sei la persona che avresti voluto essere? Chi sei adesso... Chi avresti voluto o chi volevano che tu fossi?

Arthur sospirò, abbassando lo sguardo giuduzioso sulle proprie mani, strette con forza al bordo del lavandino in marmo nero. La doccia bollente non aveva alleviato la tensione che si portava appiccicata alla pelle da giorni. Le vene ingrossate ne erano la prova, così come lo erano gli occhi rossi, a causa delle lacrime piuttosto che dello shampoo, e il tremore alle dita.

Era convinto della scelta che aveva preso: non sarebbe stato giusto continuare a mentire a sé stesso e a Sophia. Lei si meritava si essere amata e lui non ne era in grado. Forse non lo era mai stato davvero.

Il suono del campanello gli spezzò il respiro. Tirò fuori l'aria dai polmoni, nel vano tentativo di sgonfiarsi almeno in parte di quella agitazione, e coprì il torace con una t-shirt, pronto ad andare incontro alla fine di una storia probabilmente mai iniziata. Almeno da parte sua.

Strusciò i piedi, appesantiti e nudi, sul pavimento. Trascinatosi fino alla porta, la aprì col cuore in gola. Il viso sorridente e sereno di quella che era stata la sua ragazza per più di un anno gli riempì la visuale, andando a colpirlo dritto allo stomaco. Quel sorriso sarebbe scomparso per colpa sua.

«Ciao amore», lo salutò lei, entusiasta, avvicinandosi per un bacio. Un bacio che Arthur schivò voltando il capo su di un lato, facendo così scontrare le labbra morbide di Sophia contro la propria guancia.
Nel silenzio tombale che riempì l'aria, il suono di un cuore spezzato riecheggiò fin dentro l'anima di due corpi ora distanti. 

Come previsto lei si allontanò e si spense come una candela, assumendo un colorito ceruleo.

«Ciao Soph», sussurrò con voce tremante, tradendo l'apparente tranquillità che si stava sforzando di mantenere.

La ragazza deglutì e mantenne lo sguardo lontano dalla figura dell'uomo, inizando a capire che, forse, da quella sera non sarebbe stato più suo.

Arthur chiuse la porta, rompendo il silenzio dell'appartamento con quel leggero cigolio.

«Vieni sul divano con me?»

Sophia annuì, seguendolo in salotto con le ginocchia molli. L'istinto e i segnali allarmanti non l'avevano illusa, c'era qualcosa che non andava e avrebbe tanto voluto non scoprire di avere ragione.

Si accomodarono non troppo vicini, di fronte ad un basso tavolino in vetro, mantenendo una distanza che fino ad allora non si erano resi conto ci fosse tra loro.

Arthur capì dal comportamento della modella che lei aveva capito. Lo conosceva, come lui conosceva lei.

La osservava e ad ogni secondo che passava sentiva il cuore stringersi un po' di più all'idea di non averla più nella propria vita, perché, nonostante tutto, Sophia era una donna stupenda e lui le voleva un bene troppo grande. Purtroppo non si trattava di quel bene che lei meritava di ricevere.

«Soph-», tentò di dire, venendo interrotto subito dalla voce tremante della ragazza.

«Chi è?»

Gli occhi le si erano velati di lacrime, pronte a scappare via dal suo controllo, mentre li puntava sul viso altrettanto distrutto di Arthur.

Quest'ultimo si ritrovò a deglutire nuovamente, sentendosi la bocca sempre più asciutta. Abbassò lo sguardo, colpevole.

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