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Bailey’s pov

Spesso mi chiedo se prima di tutto ciò sognassi.

Da quando mi sono svegliata quel giorno ad oggi non mi è mai capitato di sognare, neanche per un misero secondo e anche se sembra impossibile, so per certo che non me li sia scordata una volta svegliata, ma che non ci siano proprio stati: l’unica cosa che segue a quando chiudo gli occhi una volta che sono in procinto di addormentarmi è il mio risveglio, come se nel mio ciclo del sonno la fase REM non sia presente.

Non so se questa cosa sia dovuta alla mia condizione o se io stia diventando paranoica e la mia mancanza di “sogni” non significhi niente, come il resto delle cose d’altronde, ma so che questa cosa mi sta facendo impazzire.

Dopo le prime settimane dal “grande risveglio”, così come piace chiamarlo ad Ethan, una volta che mi ero accorta della mia mancanza di sogni, ho iniziato a cercare informazione tra i libri e i computer della biblioteca e quando ho letto che i sogni si sviluppano anche grazie alla memoria non posso fare a meno di pensarci.

So che forse sto esagerando o che forse ho ragione ma questa scoperta è insignificante quanto l’aver capito che il mio gusto preferito di gelato è il limone, ma ormai la mia vita è una continua ricerca di indizi per scoprire la verità che a volte mi fa dubitare anche se è il cielo è realmente azzurro o se sono io a vederlo in questo modo per qualche strana ragione.

Vorrei avere una risposta, una risposta secca che chiarisca anche il più piccolo dei dubbi in modo da non sentirmi più persa e bloccata in questa situazione, da non sentirmi più come stessi sprecando tempo dietro a cose inutili.

Sbuffo e torno a disegnare sul mio quaderno; di solito è Ethan quello pessimista tra noi due, ma in quest’ultima settimana, a partire dal giorno dopo in cui mi ha portato al lago, è stato impegnato a ripetere insieme ad Austin per il loro esame e perciò non ha avuto tempo per distruggere le mie ipotesi, compito che mi sono trovata costretta a svolgere da soli.

Per fortuna il fatidico giorno è arrivato e adesso sono qui fuori ad aspettare che Ethan esca dall’aula d’esame insieme ad Austin, che l’ha già svolto e passato una mezz’oretta fa, in modo da intraprendere tutti insieme il nostro viaggio per Seattle.

Se da una parte sono emozionatissima nell’andare a Seattle dall’altra sono spaventata che questo viaggio possa rivelarsi una completa delusione e di tornare quindi qui a Washington con le mani vuote e senza la minima idea di cosa fare. Io e Ethan abbiamo provato a trovare ricavare qualche ipotesi dalle poche cose che sappiamo: il mio legame con Austin ed Ethan; il motivo per cui sono venuta qui a Washington solo un mese dopo che loro si sono trasferiti o il significato del simbolo che Ethan ha tatuato e che io continuo a disegnare senza accorgermene; purtroppo non siamo riusciti a formulare nessuna spiegazione.

L’unico modo per scoprire qualcosa è andare a Seattle che allo stesso tempo, ironia della sorte, potrebbe rivelarsi un vicolo cieco.

Io, Ethan ed Austin abbiamo programmato di restare a Seattle per circa una settimana, in modo da avere abbastanza tempo per cercare degli indizi e stare con le loro famiglie in modo da non destare alcun sospetto.

Appena sento la porta dell’aula aprirsi alzo la testa di scatto e i mei occhi volano su di Ethan che, con espressione felice e soddisfatta si dirige verso di noi e non posso fare a meno di sorridere nel vederlo così felice; non appena i nostri occhi si incrociano gli sorrido entusiasta e lui ricambia con un sorriso incerto per poi aggrottare la fronte confuso.

<<Tutto bene?>> chiedo una volta che si è avvicinato e lui annuisce riacquisendo il sorriso soddisfatto di poco fa.

<<Sì, benissimo; ho preso 30 e lode.>> si vanta e Austin alza gli occhi al cielo dandogli una spintarella giocosa.

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