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Bailey’s pov.

Se c’era una cosa che non mi sarei mai aspettata da Ethan, è quella che lui mi obbligasse a restare a dormire in camera sua, nonostante potessi andare in un qualsiasi hotel e tornare il mattino dopo, sopportando in silenzio le mie battute al riguardo.

Insomma non dico che la cosa mi dispiaccia, anzi devo ammettere che ho provato una strana sensazione di euforia mista a felicità quando mi ha impedito di andarmene, ma ammetto di essermi fatta qualche domanda quando una volta che lui ha finito di cenare, è andato a letto senza dirmi una parola.

Oh ma andiamo, che senso ha farmi restare se poi mi ignori?

Non ho potuto nemmeno chiedergli chi era quella ragazza dai capelli biondo fragola che ha abbracciato ieri sera. Non che la cosa mi importi, ovviamente, la mia è semplice curiosità.

Sbuffo e avvicino le gambe al petto, cercando di ignorare il letto vuoto di Ethan, già fatto e ordinato.

Stamattina, verso le sette, mi sono svegliata nel sentirlo preparare dato che ha la delicatezza di un elefante e se da una parte ero felice che fosse riuscito a dormire per più di sei ore, dall’altra morivo dalla voglia matta di alzarmi e chiedergli dove diamine andava.

Ma invece sono rimasta a letto e ho fatto finta di dormire, per poi alzarmi e guardarlo dalla finestra mentre usciva dal vialetto di casa sua, da cui non mi sono ancora mossa, dopo due ore e mezza, per aspettare il suo ritorno.

Dio, ma cosa starà facendo?

Sbuffo di nuovo e tento di concentrarmi sul libro che sto leggendo, ma quando i miei occhi cadono sul vialetto invece che sulle parole del libro, che lancio sul letto per la rabbia.

La camera di Seattle di Ethan è molto simile a quella di Washington: le pareti sono di un verde mare che trasmette estrema tranquillità e su di esse, qua e là, c’è qualche mensola su cui sono poggiati trofei o foto, mentre la libreria, mezza vuota perché ha portato la maggior parte dei libri con sé a Washington, e la scrivania, sono entrambe bianche ed estremamente ordinate e anche se so che c’è il lavoro del padre di Ethan dietro, scommetto che il moro gli ha fatto pressione per mantenerla così pulita; l’unica differenza è che invece di un letto ad una piazza e mezza, qui Ethan ha due letti singoli.

Scruto attentamente le foto sulla mensola sopra alla scrivania alla ricerca di qualcosa che possa indicare la mia presenza nelle foto che poi è stata cancellata o cercando qualcosa nelle persone o nei posti che possa ricordarmi qualcosa, ma come al solito non ottengo niente.

Arrabbiata mi alzo dalla cassapanca della finestra ed esco dalla camera, pronta a cercare Ethan ovunque si sia cacciato, ma appena mi trovo davanti alla porta, questa si apre colpendomi in testa.

<<Oddio scusami, non pensavo che...>> inizia a scusarsi Ethan, ma quando incrocia i suoi occhi con i miei si blocca d’improvviso.

<<Che ti sarei venuta a cercare? Dove diamine sei stato?>> gli chiedo massaggiandomi la testa e lui sbatte gli occhi un paio di volte, per poi spalancarli di colpo e deglutire rumorosamente, come se si fosse appena ricordato qualcosa di spiacevole.

<<Tutto bene?>> chiedo confusa da questa sua reazione e lui annuisce con veemenza per poi rivolgermi un sorriso tranquillo, facendomi quasi pensare di essermi immaginata tutto.

<<Sì certo, ma perché mi stavi cercando?>> chiede curioso mentre si toglie il giubbotto e lo appende sull’attaccapanni per poi superarmi velocemente, obbligandomi a correre per raggiungerlo.

<<Manchi da quasi tre ore, mi chiedevo che fine avessi fatto. Comunque sei sicuro che vada tutto bene, ti vedo un po’ strano.>> insisto e lui annuisce guardandomi negli occhi per un millesimo di secondo, per poi abbassare lo sguardo e rivolgermi un piccolo sorriso.

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